JAMES PLAYS THE BLUES 1972:

È il quarto album di James Taylor, segue al precedente ottimo lavoro "Mud Slide Slim And The Blue Orizon" del 1971. "One Man Dog" è indubbiamente l'album più strumentale dell'enorme discografia dell'artista.

Fra le tracce non c'è quasi mai nessuno stacco di silenzio, tipico degli album cantautoriali, ma la musica si sussegue continuandosi di canzone in canzone, per tutta la durata dei diciotto pezzi, come se fosse una unica gigantesca composizione che muta di forma e di sonorità incalzando e crescendo sempre più, con un effetto veramente molto originale. Gli strumenti sono numerosissimi, ricchissimi, sono il vero 'fulcro' attorno al quale ruota tutto il disco. Viene infatti data meno importanza alla canzone in quanto tale e più alla musica che ne fa da impalcatura. Spesso infatti i pezzi non hanno ritornello (tipico invece delle canzoni a cui Taylor ci aveva abituato fin qui) e danno la netta impressione di essere più improvvisati. Inoltre (altro fatto alquanto insolito per l'artista) vi sono ben tre tracce completamente strumentali: "Instrumental I", "Instrumental II" e la traccia di chiusura "Jig". Davvero insolita scelta dato che l'autore americano raramente priva le sue composizioni dell'accompagnamento della sua perfetta e candida vocalità.

Insomma Taylor lascia parzialmente da parte la sua naturale 'indole cantautoriale' (come già aveva fatto, anche se in maniera molto meno accentuata, nel precedente "Mud Slide Slim And The Blue Orizon" e come però quasi mai più farà), per lasciare libero sfogo all'anima blues delle corde della sua mitica chitarra classica (suonata come sempre divinamente) e di tutti i numerosi strumenti presenti nel disco. Il risultato può non essere gradito a tutti, soprattutto ad un primo ascolto. Fece inoltre storcere il naso ai tanti fan che lo amavano soprattutto per le sue classiche ed indimenticabili ballate di "Sweet Baby James" 1970. Lo stile effettivamente è mutato e non di poco, ma l'album è davvero ottimo, James ha così fatto sapere al mondo della musica, che le sue corde contengono anche note blues, che possono sprigionarsi in maniera incantevole.

I pezzi migliori: la traccia di apertura ritmata ed incalzante "One Man Parade", la blues-love-song "Nobody But You" (un giusto compromesso fra improvvisazione blues e ballata tayloriana) senza ritornello ma con incalzante e splendido 'special' finale. Ancora la bella "Chili Dog" forse la più blues di tutte, la ballata "Hymn" e infine fiato alle trombe per le ritmatissime canzoni di chiusura, unite fra loro a formare un pezzo unico incalzante e pieno di possenti strumenti a fiato: "Little David", "Mescalito", "Dance" e "Jig". Un commento a parte merita il pezzo più celebre del disco, che riprende il tipico classic-taylor-style abbandonando l'anima blues che pervade il disco: "Don't Let Me Be Lonely Tonight" bellissima ballata che qualche anno dopo si degnò di riprendere il leggendario 'Mosè Nero' Isaac Hayes, regalandogli una bellissima forma slow-soul, indubbiamente un grande ed insolito incontro fra la musica nera e la canzone d'autore americana (più tipicamente bianca).

Tornerà due anni dopo nel 1974 con il meno ispirato "Walking Man".

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