All'irrompere degli anni '90, un periodo musicale in cui la scena inglese stava vivendo un periodo di magra senza precedenti, i James sembravano davvero predicare nel deserto. Oasis e Radiohead erano ancora lungi dal venire, i Blur che emettevano i loro primi vagiti, gli Smiths defunti, gli Inspiral Carpets sul baratro dello scioglimento dopo due folgoranti produzioni, il neoprog alla frutta. Insomma i sei di Manchester, assieme a Stone Roses, Massive Attack e pochi altri, erano tra le band a tenere in piedi il buon nome del Regno Unito.

E lo stavano facendo in maniera davvero strepitosa.

Tra il 1990 e il 1993 tre episodi cardine della loro discografia, col quale si sono poco a poco tolti di dosso l'immagine di band figlioccia dei sopracitati Smiths e hanno aperto le porte al pop, quello buono. Una vera e propria svolta, aperta alla grande con Gold Mother, proseguito con Seven, concluso in bellezza con Laid. Qui ci si occupa del disco centrale, quel Seven che, a detta di molti, rappresenta l'apice creativo del gruppo mancuniano.

E non ci vuole molto a dar ragione a questa opinione perché Seven, con le sue undici canzoni, è un lavoro sorprendente, dalla prima all'ultima nota. Non che si voglia sparar troppo alto, ma molto probabilmente è tra i 10 migliori dischi pop/rock usciti in inghilterra negli anni '90.

Basta il terzetto di classici iniziale per capire che la band era ormai matura per fare un grande salto (che poi all'estero purtroppo, non c'è stato). Apre un cavallo di battaglia come Born Of Frustration, coll'indimenticabile gorgoglio in falsetto di Tim Booth, si prosegue con la trascinante Ring The Bells e la maestosa Sound. Non che sia impossibile descrivere questo trittico, più che altro è inutile. Ciò che colpisce in Seven, è l'utilizzo delle trombe, che dà un mood in più alle canzoni, che colpiscono, come sempre, per la loro apparente semplicità. Apparente sì, data la formazione insolitamente numerosa dei nostri.

Andando avanti, bring a Gun Rinverdisce per un attimo il passato, è una canzone da due minuti che è più Smiths degli Smiths, una canzone che odore di molotov e scontri nelle strade. Ancora, ecco Mother ballata lenta e indolente, prima di arrivare a Don't Wait That Long, probabilmente l'apice assoluto di tutto il disco, sei minuti di pura emozione, sei minuti che scaldano l'anima e fanno da perfetta colonna sonora alle nevicate d'inverno. Live A Love Of Life se la deve essere ascoltataparecchie volte Richard Ashcroft prima di inforcare la chitarra e fare dei suoi Verve il gruppo più figo dell'impero britannico, Next Lover è un altro inno maestoso sorretto dai fiati, Heavens  ricorda vagamente Say Something.

Altra menzione per la dolcissima Protect Me e la sua chitarra obliqua, Seven è l'ennesimo super classico con cui i James si separano dai loro ascoltatori.

Spesso ci si riferisce a Millionaires come al "disco del maiale" (o del porco), ma Seven è davvero come il maiale, del quale, secondo il proverbio, non si butta via niente.

Magistrale.  9,5

1 Born Of Frustration

2 Ring The Bell

3 Sound

4 Bring A Gun

5 Mother

6 Dont Wait That Long

7 Live A Love Of Life

8 Next Lovers

9  Heavens

10 Protect Me

11 Seven

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