Recensione DOVEROSAMENTE LUNGA. Astenersi non appassionati e soggetti in cerca di forti emozioni.

Preparatevi un "caffè d'acqua sottile" e magari leggetevi queste umili note, se vi va. Iniziando dalla cosa più semplice, come può essere la catalogazione, in questo disco di jazz del jazzista Garbarek… non c'è molto jazz!

L'unico legame con la tradizione jazzistica più ortodossa, sia americana che europea, è forse dato dalla assoluta padronanza tecnica di strumenti che sono comunque classici del linguaggio jazzistico. Inoltre, ad aggravare i sintomi della de-generazione, l'uso di scale e melodie profondamente europee, derivanti da nenie o da storie antichissime, e radicate nel dna dei popoli centro-nord, scavano a questi brani una strada diretta dalle vostre orecchie al cuore di italiani, trasmettendo un riconoscibile eco di fratelli lontani ma oramai sempre più vicini, che ti dice inequivocabilmente, chiaramente, ancora, dopo vent'anni (questo disco è del '93), "sono qui, sono europeo come te e di nuovo 'suono per te che mi vieni a sentire' e stavolta non mi puoi non capire"; ma in questo disco, invece di coloriture arabe e solarità-sonorità aperte, musica di sintetizzatori e rabbia politica tramutata in versi, abbiamo il riflessivo ed acuto vento freddo del nord, che dai fiordi ti sussurra le melodie, ti scalda i ventricoli della mente ma ti gela le orecchie. Mettetevi un maglione ed i calzettoni di lana spessa.

Il suono potente del soprano di Jan Garbarek trascina la band come solo il pifferaio di Hamelin. Il gruppo risponde compatto, agile ed intelligente: come le dita di una sola potente mano, fortemente serrata sul manico della spada di Odino.

1) "Twelve moons" è diviso in due parti e riempie uno sviluppo di ben oltre sette minuti con sonorità pericolosamente vicine ai migliori episodi del Pat Metheny Group. Già capisco che dovrò mettermi a scrivere. Inevitabilmente.
2) "Psalm" è il canto tradizionale e struggente di Agnes Garnas, accompagnato dal sax di Garbarek e solo da lievissimi accenni di contrabbasso (Eberhard Weber) e percussioni (Marilyn Mazur). Chi ha detto che la musica mitteleuropea debba avere per forza un tappeto ridondante di note ed una pulsazione temporale ripetuta? Note singole o a grappoli; voce acuta e sapientemente calibrata; due persone, con un sapiente uso di riverberi, possono fare più miracoli dell'uomo con un cacciavite in mano a Poggiobustone. Si, suonare.
3) "Brother wind march" inizia con un emozionalmente tiratissimo solo introduttivo di Jan che, dopo lo sfogo riflessivo ed introspettivo, introduce il tema. Un saltarello medievale come solo alla corte di uno dei sovrani illuminati nel 1400 in Europa. Le percussioni di Mazur e la batteria vigorosa di Manù Katchè smuovono le tue molecole. Il sangue non è acqua. Il piano di Rainer Bruninghaus accompagna, quale protagonista discreto; "pian piano il piano" cresce da ora in poi nel disco. Enormemente. Non acquistate questo CD se siete lontani dall'Europa: potreste piangere improvvisamente, al solo sentire il ritornello che monta ed invade ogni fibra del vostro essere. Il saltarello lascia spazio ad uno sviluppo improvvisativo giocato su una scala, una sequenza di accordi basata sull'uso preponderante, semplice e ciclico di posizioni minori che ora abbraccia la penisola iberica. Non è una esagerazione: sentire per credere! E comunque lasciatemelo dire: CACCHIO CHE MUSICA! Portassi il cappello me lo toglierei all'istante.
4) "There were swallows" Un piano delicato-delicato introduce il tema esilissimo di un pezzo stupefacente. Al sax soprano segue un incedere più corale, con un contrabbasso melodico che spesso ferma, riparte, lascia intelligentemente respirare questa musica eterea, mentre la batteria sottolinea il cammino con sobrio intercedere ritmico. Ancora echi dei balli di corte, con questa "frasetta" che gira e rigira. Ma non è un liuto od una celeste. È un potente gruppo di musicisti che proietta un film proprio davanti ai tuoi occhi. Oltre otto minuti di sviluppo includono anche frasi soliste in slide sui registri più alti del contrabbasso che a volte viene usato a mo' di violoncello.
5) "The tall tear trees". Il tema viene esposto dal contrabbasso che qui sembra un basso fretless. A questo punto non saprei distinguere. Probabilmente potrebbe essere un contrabbasso elettrico (EUB). Garbarek poi improvvisamente grida altissimo e tace. Il contrabbasso disegna le sue frasi sopra un accompagnamento di tamburi simil tribale. Una lezione su cosa si può fare di veramente valido e nuovo con semplici strumenti acustici. Lezione data al jazz d'oltreoceano, simile a quella data nell'immediato dopoguerra dal neorealismo italico ai signori di Hollywood: Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano. Capolavori fatti con quasi niente. E comunque mentre il produttore americano che aveva comperato Sciuscià ad Hollywood fece milioni di dollari, De Sica non fece una lira a casa sua! Quanto siamo imbecilli, noi italiani! De Sica: un grande istrione; anche un cantante nato, un talento puro. Però tutto si perdona a chi ha avuto successo. Dopo. Anni dopo. Ma qui divaghiamo. Stop.
6) "Arietta". Come dice il titolo, si tratta ancora di una composizione semplice; con poco accenno ritmico, suonata in unisono tra sax e contrabbasso, mentre il piano tiene un bordone ritmico di sotto, prima di liberarsi e costruire un bel solo. Batteria appena accarezzata. Tema ripreso alla fine da Garbarek per appoggiare delicatamente i suoni sul cuscino del sonno.
7) "Gautes-Margjit". Un ritmo di tamburi ostinato e lieve accompagna il piano, sino a che subentra il gruppo per un brano dal sapore più rockeggiante. Circa dodici minuti di progressione melodica semplice che man mano vira, e gira e ritorna. A 4: 00 inizia un bel solo di piano che mette in evidenza lo scheletro melodico-ritmico del brano, giocato ora solo tra piano e percussioni. Ripresa corale lenta e delicata.
8) "Darvanan". Ancora questo sax soprano con eco lungo, una specie di corno celtico che chiama le mucche al pascolo. Subito gli si affianca la voce di Mari Boine per un pezzo intimo ma fortissimo, strillato in due: solo sax e voce. Note sparse al vento. Raccogliere, per favore.
9) "Huhai" è un brano di sapore forse più vicino a noi "terroni d'Europa"; ritmato al punto giusto. Apertura al mediterraneo. Ponte di pace tra nord Africa e Norvegia. Torna il PMG e la sua pericolosa-benefica influenza. Sarebbe interessante vedere cosa potrebbe fare il PMG se lo spazio della voce solista fosse affidato anche ad un sax soprano. Per ora siamo alla tromba del vietnamita Cuong Vuh.
10) "Whitchi-tai-to" viene da un precedente album di Garbarek. È un bellissimo tema che viene svolto coralmente in maniera egregia, sempre nell'economia sonora predominante del disco.

L'enorme rispetto che viene spontaneo ascoltando queste combinazioni armoniche e questo uso sapiente della tradizione melodica europea in chiave molto moderna ma ben salda nella nostra comune storia ancestrale trovò un testimone (e che testimone!) nei primi settanta in Keith Jarrett, il quale, richiesto semplicemente da Manfred Eicher (un vero "Signore della musica", un cavaliere nobile dal fiuto infallibile) di incidere qualcosa con 'sti europei, rispose altrettanto semplicemente di si, cementando così da subito un'amicizia tuttora saldissima con Jan Garbarek, Palle Danielsson e John Christensen.
Nel 1974 infatti, dopo un po' di giorni passati assieme, incisero due opere, Belonging e Luminessence, destinate a diventare pietre miliari del jazz europeo. Per poi continuare a lungo come "Belonging band". Notare che all'epoca c'erano contemporaneamente il "Keith Jarrett (American) quartet", composto da Charlie Haden, Dewey Redman e Paul Motian, in una situazione spesso sofferta e contraddittoria, mentre in Europa c'era la "Belonging Band", a significare che egli si poneva con assoluto e paritetico rispetto nei confronti di questi europei: umili, innovatori, assetati di bellezza, competenti e splendidi. Arbour zena. Stop, non divaghiamo troppo.

Un'opera degna di stare nella discoteca degli appassionati della musica meravigliosa, di sonorità eterne e di tutti coloro che creano quotidianamente, senza arrendersi mai. L'Europa ti parla e ti ricarica anche con questo disco. Non abbiamo solo lirica, jazzisti, ottimi cantautori e musica rock di buona fattura: c'è anche questa gente schietta, valida appassionata.

Giù il cappello davanti ad un capolavoro.

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