Ed ecco tra le mani un altro "mostro sacro", un intoccabile ormai venerato a destra e manca come il novello messia dell'ECM, colui che ha sfornato "Officium" cambiando così i connotati a quel jazz-ambient di natura "mistica". Dopo il mezzo flop (intellettuale, artistico e commerciale) del seguito "Mnemosine" e varie collaborazioni, il nostro vichingo sassofonista prosegue nella sua logorroica produzione discografica, dandoci stavolta un prodotto pressoché identico a quel "Visible World" di quasi 10 anni prima (è del 95!). Simile la costruzione dei brani, l'incedere lento su un tappeto ritmico sornione e rarefatto, il sax mai esagerato ma sempre moderato, ormai vero marchio di fabbrica del nostro.

Cosa voleva dirci Jan con questo disco? Qual'è la maturazione artistica o meglio l'evoluzione intrapresa dal nostro? Tutto sembra immutato e identico come se nulla fosse cambiato, come se questi 10 anni fossero rimasti identici, come se il mondo, gli eventi, le cose restassero fuori dall'operato di questo artista che, se sfornasse meno dischi e li pensasse meglio e con più attenzione=partecipazione, avrebbe ancora molte frecce al suo arco. Quando invece i brani sono mere esecuzioni stucchevoli (ascoltare il brano "One Goes There Alone" abbastanza banalotto se non sterile esercizio formale o poco più) o "mestierate" che nulla aggiungono a quanto fatto fin'ora (sentire "Knot of Place And Time" col violino sdolcinato e quasi retorico che fa contrappunto al sax sempre uguale a se stesso, pur nella sua classe ed eleganza) vien voglia di riascoltarsi "Officium" o "Raga and Sagas" o qualsiasi altro lavoro del bel tempo che fu.

A conferma della mia teoria sui 5 dischi max per ogni artista, dopo di che o uno va in pensione o si mette a fare il sassofonista di piano bar nelle navi da crociera per ricchi. Che non è un brutto vivere: se ti va bene, rischi pure di diventare Presidente del Consiglio, pensa un po'...

Carico i commenti...  con calma