Strano davvero come certi dischi superino le barriere spazio/temporali per poi sedimentarsi lentamente ma inesorabilmente nel tuo DNA, influenzando persino il carattere o le scelte di vita.
Come questo "Ragas and sagas" di Jan Garbarek del 1992 (ovviamente su ECM!). Ancora un disco di Jan Garbarek dunque e forse uno di quelli a cui sono profondamente legato ("Officium" a parte). Qui il sassofonista norvegese, dopo anni passati tra mille collaborazioni prestigiose con Keith Jarrett, Ralph Towner, Hilliard Ensemble mescolando stili e influenze diversissime tra loro, incontra magistralmente la cultura araba/pakistana fondendo assieme la musicalità sacra ("raga" appunto) con quella profana ("saga") e collaborando con un grandissimo mostro sacro della vocalità che è Ustad Fateh Ali Khan, morto non molti anni fa.
Forse per la prima volta strumenti di tradizione indiana/pakistana quali le tablas, il sitar e i sarangi (sacri nella tradizione orientale), si mescolavano con uno strumento tradizionalmente occidentale (e quindi profano). In questo disco i due opposti si incontrano in un'integrazione delicata ma ficcante al tempo stesso dove il sax si fa "sacro" in certi passaggi dando ampio spazio al canto estatico di Ustad per ritornare "profano" in certi momenti più squisitamente jazz (anche se la parola qui è decisamente fuori luogo).
Un continuo botta risposta tra questi due poli che, bene o male, sorreggono le sorti e la parte sacra dell'intera umanità. Sia ben chiaro: questo resta un disco "meditativo" e profondamente spirituale (a cominciare dalla "raga I" lenta e indolente come una preghiera di ringraziamento a dio). Già in "Saga" (l'unica saga) il tempo si fa sincopato e "occidentale" creando comunque un tappeto fusion apprezzabile per un canto più modernizzato e "leggero" (definizione sempre da prendere con le pinze, questa). Qui l'intreccio tra il sax del norvegese con il canto tradizionale dell'indiano diventa sublime in certi passaggi e rimandi davvero toccanti e intensi come pochi.
Nel "Raga II" si torna alla tradizione orientale/pakistana dove Garbarek si fa lieve e rispettoso colorando appena di note soffuse il brano e così nel "Raga III", dove la parte del leone la fa indubbiamente la vocalità poliedrica e mistica di Alikan, un vero maestro incontrastato della tecnica vocale di derivazione indiana. Chiude l'album "Raga IV" anche questo di stampo tradizionale (le composizioni sono tutte a firma di U.F. Ali Khan eccetto l'unica "saga" di Garbarek) dove emerge prepotente in tutta la sua forza sacra, il canto estatico e virtuoso del leader a scapito di un sax sempre lieve e mai invadente rispettoso di una cultura lontana, profonda e diversissima dalla nostra.
Grande disco di natura "meditativa" e sacra, che poco si concilia con le sonorità occidentali e nulla ha a che vedere con rock, jazz, fusion o suoni a noi ben più digesti. Consigliatissimo a chi si vuole avvicinare a nuove sonorità e a chi già "mastica" di meditazione, oriente e misticismo e cerca scampoli di comunicazione "divina" con il Sé Superiore. Bau bye.
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