L’arte glitchica e l’archeologia timbrica.

“Loop-Finding-Jazz-Records”: il titolo dice già tutto, di quell’arte tutta jelinekiana di cesallare diafanità acustiche.

Quello del germanico Jan Jelinek (il quale presentò, agli albori del 2000, questo suo primo lavoro firmato col nome di battesimo) è un anzitutto lavoro di scavo; di scavo e di siderale trasfigurazione.

Il meccanismo è semplice, e nella dovizia di questo semplice ma impegnativo lavoro sta il supremo gesto dell’elettronica. L’ars combinatoria che intrama questo lavoro è basata su una logica estremamente semplice: prendere qualcosa di dato — un certo numero di campionamenti, accuratamente scelti, di brani avangarde-jazz, resi corpuscoli sonori—; costruire, partendo da essi, un qualcosa di completamente diverso; moltiplicare esponenzialmente le possibilità sonore tramite un mezzo banalissimo: il loop; ricostituire, cioè, a partire da corpuscoli privi di forma, un oceano gangliare.

Questa alchimia elettrica, questa rinnovata consapevolezza delle possibilità illimitate del mezzo sintetico, non è però una asettica messa in opera dell’artificio combinatorio. Anzi.

La ricerca-di-loop-da-registrazioni-jazz è una costruzione contrappuntistica, la cui vita sta proprio nell’immobile movimento che si crea dal più ascetico dei tentativi di musicare il già musicato, di dar nuova foggia a frammenti di ciò che — prima d’esser frantumato e ricomposto— aveva forme riconoscibili; riconoscibili, pare strano, anche nel rarefatto prodotto di riciclo. Seppur riconoscibili come irrimediabilmente deformate, riformulate e trasfigurate.

Dal caos della frammentazione, della spasmodica ricerca di una completezza di campionature, alla scoperta di una ricostituità unità sonora. Questo è il lavoro, sereno e rarefatto, che l’artigiano del glitch Jan Jelinek porta a compimento. Il risultato è qualcosa che, levigato ogni contrasto e sublimata ogni ruvidità in un movimento impercettibile, si colloca in un tempo sospeso. In quel tempo in cui le cose si affinano ma non ingrigiscono.

Se il materiale di partenza è stato scientemente decontestualizzato, sezionato e ricostituito, la sua nuova vita è però una vita non più vincolata alle coordinate originarie, né ad alcun altra coordinata. Non invecchia perciò: perché semplicemente non ha tempo.

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