'Room 29' è un concept album dedicato a uno dei miti di Hollywood, lo Chateau Marmont Hotel sulla Sunset Boulevard di Los Angeles.

Costruito nel 1929 secondo i piani dell'architetto William Douglas Lee sul modello del Castello di Amboise situato nella omonima cittadina sulla Loira in Francia, nel 1931 la residenza fu completamente ristrutturata e convertita in hotel.

Il fatto che nel 1976 sia stato designato come vero e proprio monumento storico-culturale e come tale patrimonio artistico della città di Los Angeles non stupisce. Voglio dire, siamo a Los Angeles, sulla Sunset Boulevard, come poteva questo posto non diventare un vero e proprio luogo di culto? Per lo Chateau Marmont sono passati praticamente tutti gli artisti più influenti della storia del cinema e della musica e dello spettacolo che vi hanno soggiornato come semplici ospiti oppure come residenti e in diversi casi hanno tratto vera e propria ispirazione da questo posto 'mitico' anche per quella che è la loro produzione artistica.

Nel 1982 John Belushi fu trovato morto all'interno dello Chateau Marmont. Alloggiava nel Bungalow 3.

Sofia Coppola ci ha girato il suo film del 2010 'Somewhere' con Stephen Dorff e la ex stellina Elle Fanning, probabilmente il suo lavoro più interessante e quello nel quale in qualche maniera perseguendo uno degli intenti e finalità concettuali tipici del suo 'pensiero' (quindi del suo cinema) ci mostra quanto sia in realtà priva di consistenza e di contenuti questa realtà fantastica che ci appare il mondo delle celebrità.

Un film che se vogliamo è esso stesso poi un 'controsenso' e allo stesso tempo una affermazione e una negazione della critica che Sofia Coppola poi del resto rivolgerebbe in primo luogo a se stessa che in questo 'mondo' ci è praticamente nata e crescita.

Comunque Jarvis Cocker ha soggiornato allo Chateau Marmont, precisamente nella stanza numero 29 (la cui particolarità è quella di essere arredata tra le altre cose con un pianoforte a coda), la prima volta nel 2012 mentre era in tour con i Pulp negli Stati Uniti e in qualche maniera, più o meno artificialmente, ha deciso anche lui di essere stato profondamente ispirato da questa esperienza tanto da volerci poi a distanza di quattro-cinque anni scriverci un disco.

Dico che è stato più o meno artificialmente ispirato da questa esperienza perché del resto la sua opera non è un'opera 'originale'. Cioè è un'opera dai contenuti inediti, sono tutte canzoni nuove e mai scritte né sentite prima, ma il concept su cui è incentrata l'intera opera sono proprio le varie storie che si raccontano sullo Chateau Marmont e quelle che sono state le esperienze e le opere dei grandi personaggi che vi hanno soggiornato e hanno impregnato le pareti di questo hotel con la loro arte.

È un progetto diciamo ambizioso è che oltre che prevedere la realizzazione del disco (uscito il 17 marzo tramite la Deutsche Grammophon) prevede anche la messa in scena di un vero e proprio spettacolo teatrale che Cocker ha scritto con lo storico del cinema David Thomson.

Per quanto riguarda il disco e i suoi contenuti, questo è stato invece realizzato a quattro mani con il pianista, produttore e cantautore canadese Chilly Gonzales (vero nome: Jason Charles Beck), collaboratore seriale di Feist, Peaches e Mocky e impegnato anche come musicista nell'universo della musica elettronica e sperimentale, e si avvale inoltre della collaborazione con la flautista Nathalie Hauptman, il musicista francese Hasko Kroeger e la cantante Maud Techa.

Lo schema delle sedici canzoni che compongono il disco è sempre lo stesso: sostanzialmente Chilly Gonzales suona il pianoforte, accompagnato dalle orchestrazioni degli altri componenti del progetto, e Jarvis Cocker ora canta ora letteralmente recita (lo chiamano 'spoken word') le liriche che ha scritto in omaggio allo Chateau Marmont e al suo mito.

È un disco i cui contenuti musicali si potrebbero definire come mitteleuropei, che rimandano a atmosfere decadenti, ambienti polverosi e fumo di sigarette. Da 'Berlin' di Lou Reed all'espressionismo teatrale di Marianne Faithfull fino alla drammaticità del Ryuichi Sakamoto più minimale e dove qua e là fa capolino la 'gestualità' verbale di Daniel Johnston.

Nonostante ciò non lo definirei un lavoro ripetitivo.

Non è sicuramente questo il motivo che potrebbe scoraggiare l'ascoltatore dall'avvicinarsi a questa opera, quanto invece il fatto che in qualche maniera questa sebbene apparentemente costituisca un 'omaggio' e un concept album dedicato a un immaginario per lo più mitico, persino fantastico per quelli che sono gli eventi più lontani nel tempo, esso ci appare d'altro canto invece un'opera del tutto autoreferenziale e in cui Jarvis Cocker pretende di appropriarsi di queste storie e di farle proprie.

Ma non ci riesce. Le anime delle persone di cui ci vuole raccontare la vita gli sfuggono più rapide delle note del pianoforte di Chilly Gonzales e tutto quello che resta non sono degli uomini e delle donne ma solo dei personaggi.

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