C’era una volta in America. Verso la metà degli 80’s gli Stati Uniti pullulavano di gruppi che cercavano in ogni modo di rivitalizzare il rock’n’country più verace, un country velocizzato ed estremamente chitarroso. Di esempi se ne possono fare a bizzeffe, dai Lone Justice ai Dream Syndicate di Steve Wynn a parecchi altri che ho ascoltato, ma di cui gli esempi più clamorosi sono sicuramente i gruppi citati, assieme a Jason Ringenberg e ai suoi fidi compagni, gli Scorchers, che putroppo in Europa non si sono mai fatti conoscere abbastanza per i loro meriti.Sono rimasti attivi fino nella seconda metà dei ’90 per poi lasciare campo libero al quasi puro country del loro leader Jason. Da quanto ne so ogni tanto si riuniscono per qualche serata ed è un’esplosione di potente rock’n’roll (loro una delle migliori cover di “Absolutely sweet Marie” di Bob Dylan, ad esempio) e di country mischiato con una sorta di rock-punk (la più fragorosa versione di “Take me home country roads” di John Denver ad esempio). Ma non preoccupiamoci più di tanto delle cover, avevano anche dell’ottimo materiale originale, e questa del 1986, che è la loro terza prova su disco, lo dimostra (anche se, per molti versi, sono migliori i primi due album).
Il tutto parte con un clamoroso riff chitarristico su un solido rock-blues, “Golden Ball And Chain”, un ottimo brano con un ritornello orecchiabile ma assolutamente non banale. Poi via con il rock’n’roll di “Crashin’ Down”, una bella canzone dove trova spazio una bella serie di assoli del chitarrista Warner Hodges (un chitarrista che poi finì addirittura a suonare con Iggy Pop). Altra scarica di quasi-punk è “Shotgun Blues”, e anche qui le chitarre fanno bella mostra di loro stesse, come in tutto il disco, assai distante dai canoni musicali imperanti nelle FM di quel periodo. “Good Things Come To Those Who Wait” è un bel lento, melodico ma non sdolcinato (non sarebbe stato nelle loro corde). Ancora velocità e adrenalina pura con “My Heart Still Stando With You” e con l’unica cover del disco, una esplosiva versione della stoniana “19th Nervous Breakdown”.
Una grande ballata country-oriented come “Ocean Of Doubt” serve forse per smorzare un po’ i toni perché poi si ritorna alla velocità e al fuoco chitarristico di “Ghost Town”. Infine “Take Me To Your Promised Land” è un pezzo sullo stile di “Good Things Come To Those Who Wait”, melodico ma non troppo, evidentemente per chiudere l’LP (e parlo di LP perché io ho il vinile) in una maniera non troppo violenta. L’LP, perché la ristampa in CD contiene tre tracce in più, compresa una “Route 66” che io ho avuto modo di ascoltare e di cui consiglio vivamente a chiunque sia un minimo appassionato per questo genere di musica l’ascolto. Alle stesse persone consiglio caldamente di andarsi a recuperare qualcosa di questo gruppo a suo modo grande e importante.
Carico i commenti... con calma