L'horror è un genere cinematografico pieno di contraddizioni: spesso sottovalutato, usato da produttori soprattutto americani come macchina per fare soldi facili, additato come causa delle più violenti e innominabili patologie psichiche, colpevole di notti insonni o di criminali tentativi di emulazione. Eppure, probabilmente, è il miglior esempio che la settima arte può offrire per indagare nell'animo umano e nelle sue pulsioni più recondite. Un modo per raccontare fin dove possiamo spingere sia la nostra immaginazione sia la nostra propensione al fascino che da sempre esercita il Male.
Nonostante questo, i film horror degni di questo genere antico come il cinema stesso, sono pochi. Molto pochi. REC è una piacevole eccezione degli ultimi anni che arriva dalla Spagna. La coppia Balaguerò/Plaza firma un capolavoro di tensione confezionato nel migliore dei modi, con una sceneggiatura senza alcuna sbavatura, praticamente perfetta. Sia chiaro, nulla di originale: la tecnica del finto documentario in presa diretta è stato importato nel mondo horror decenni prima da noi italiani (ricordate "Cannibal Holocaust" di Deodato?) per poi arrivare al successo planetario con "The Blair Witch Project". Anche l'effetto zombie, seppur con qualche modifica (le "creature" di REC non sono affatto lenti come gli zombie di Romero) non apparirà come elemento innovativo. Eppure, durante la visione, avremo sempre la sensazione di qualcosa di "non visto", segno evidente di un prodotto eccellente che basa tutto proprio sulla tensione, sull'ansia, sul terrore, appunto.
Un terrore che diventa ben presto claustrofobia: siamo bloccati in un palazzo nel centro di Barcellona (Rambla de Catalunya 34, se siete abbastanza malati come me da andare lì a scattare foto) insieme alla giornalista Angela Vidal e al cameraman Pablo, che riprenderà tutto fino alla fine. Attorno a noi gli inquilini del palazzo: alcuni sembrano normali, altri invece si sono trasformati in qualcosa di orribile, una specie di sputa-sangue molto nervosi, aggressivi, veloci nei movimenti e ovviamente affamati di carne umana. Ben presto le autorità, fuori, bloccano ogni via di uscita, isolando completamente chi si trova dentro: un'epidemia? Un morbo? Ormai non c'interessa: l'unica nostra preoccupazione è la sopravvivenza. Ed ecco che il terrore da claustrofobia diventa voyeurismo: vogliamo vedere, vogliamo scrutare ogni stanza del palazzo, vogliamo scoprire tutti i segreti di chi è ancora "normale", vogliamo salire fino all'ultimo piano, dove nel buio di un malandato appartamento si nasconde la verità che spiegherà (quasi) tutto. "Continua a riprendere", bisbiglia Angela nelle ultime inquadrature, le più suggestive e inquietanti.
Vincitore di vari titoli, fra cui 2 Premi Goya, e presentato fuori concorso alla 64esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, REC riesce ad esprimere un senso di orrore continuo che permette di non scadere nei clichè del cinema horror nè in situazioni prevedibili e scontate. Nessun ridicolo espediente splatter, nessuna vagonata di vernice rossa sensazionalistica, nessun effetto speciale sconcertante che serve solo a provocare urletti a ragazzine vergini nei cinema popolati da minorenni, nessun volto noto nel cast (il che rende tutto ancora più realistico).
Un capolavoro di tecnica che, sull'onda del successo ottenuto, ha avuto purtroppo due seguiti: REC 2, sempre firmato dalla coppia Balaguerò/Plaza (mediocre, pomposo, ma si fa guardare) e l'orribile, vergognoso, indecente, terribile REC 3, che stavolta vede alla regia solo Plaza, evidentemente privo di dignità personale.
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