Questa è una storia di cuore.

Il soggetto, a prima vista, presenta i sintomi del cardiopatico tarantolato.

La sua cardiopatia però non è congenita né patologica, è… diciamo… fono-cinetica.

Dopo approfondimenti si scopre che trattasi di “patologica” attitudine, punk per la precisione.

Una particolare oscillazione tra il melodico e il grezzo, ben equilibrata e mai polarizzata.

Le pulsazioni salgono appena scende dal letto, accelerano e ogni giorno tendono a non diminuire e anzi, ad acuire i massimi.

Cosa spinge le pulsazioni? Il suono ma non solo, anche il ritmo. L’unione di suono e ritmo crea nel soggetto spasmodica ricerca, e possibilmente abbattimento, del limite per mezzo di entropia musicale estrema.

Di per sé, volendo essere oggettivi, questo è un limite del paziente che non riesce a tenere a freno le proprie velleità. Ma non volendo essere oggettivi è allo stesso tempo la sua più grande qualità.

Il suo modo di intendere la propria esistenza e, ne consegue, la sua musica è irrefrenabile, accelerato, instancabile, insanabile (si tratta di patologia acuta inconsapevole appunto).

Non c’è cura perché non si ritiene malato, anzi può e vuole solo cavalcare l’onda. [Lonely days / and sleepless nights / This doesn't seem so right / It leaves me wanting more / More than I did before].

Deve salire sul palco, o nel luogo deputato alla performance, imbracciare lo strumento e modulare gesto, parola, azione e atmosfera secondo il battito accelerato del Suo cuore.

Chiaramente il dottore consiglia di andarci piano con le sostanze stupefacenti, potrebbero dare conseguenze nefaste. Il consiglio viene ignorato e il risultato è scontato: morte per overdose.

Il cuore, quel cuore enorme, sincero e sempre al limite, esplode; non regge alle montagne russe dello speedball e soprattutto alla volontà della mente alla quale è legato.

Lo strumento, Gibson Flying V, non può che ricalcare e ricordare a tutti noi il concetto fondamentale: stilizza un cuore bianco, perché puro e seminale.

E con le Sue spoglie riposa, essendo a tutti gli effetti cuore comprimario; il cerchio si chiude.

Jay se ne va, troppo presto. Ormai quasi dieci anni orsono. Non ha tempo di mostrare (ma gli interessava poi?) a tutto il mondo la sua natura anche se ad un osservatore attento bastano cinque minuti, ma no, cinque secondi per capire a chi si era di fronte e cosa abbiamo perso, quasi senza rendercene conto.

La diagnosi ha tentato di colmare la lacuna profilando al meglio il soggetto.

Due parole sul sapore delle sue creazioni: struttura punk, contenuto pure. Musica punk, testi pure. Dato che il nucleo è il cuore, va precisato che nelle sue canzoni c’è tanto sentimento. La presenza di tastiere può essere un indizio. Troviamo emozioni rosso sangue [Blood Vision] in forma adolescenziale, rapporti familiari lacerati [My Family] e, in parte maggioritaria, tutta la noia condita ad alienazione, cinismo [When your friends are dead / It's so much easier / When you don't even care / All these faces mean nothing to me]+[Alone in a room / Needless I sit / I close my eyes / And try to forget / Death is calling] e mancanza di stimoli del popolo statunitense dalle sue origini ad oggi.

Tutto questo porta ad uno stato di cosciente demenza giovanile volutamente violenta, ironica e disincantata. Ma anche costretta ad avere a che fare con emozioni che, poco ragionate, vengono buttate di getto nella corrente e ne fuoriescono così. Bellissime. [Time will heal the wounds but I / will kill you / Slowly / fading all away / Hear / the voices cry and watch / the feelings die / Slowly / fading all away / I won't stop / until your dead / because of voices in my head / I won't stop / until your dead / Helping you / and hurting me]

Fenomenologia del soggetto: un troll con chitarra alto, riccio e assatanato. Accompagnato da un troll con basso, ciccio e riccio (poi traslato nel mondo Wavves, della serie: la mela cade sempre vicino all’albero).

Segni particolari: uno strano accento che accennava alla lingua d’albione. Non è dato sapere se fosse un vezzo, una reminiscenza delle origini d’oltreoceano oppure la sua demenza seriosa e scimmiottante.

Resta il fatto che era unico.

“Ecco che se ne va: uno dei prototipi di Dio. Un mutante ad alta potenzialità neanche preso in considerazione per una produzione di massa. Troppo strano per vivere e troppo raro per morire” direbbe Raoul Duke.

Carico i commenti...  con calma