Per lunghi tratti mi è sembrato di essere seduto su uno di quegli scomodi e stretti sedili della Ryan Air: le ginocchia incastrate mentre una voce fredda smeriglia, con costanza e comprovata abilità affilata negli anni, gli zebedei del malcapitato a suon di pubblicità non richiesta. La cosa divertente è che questo libercolo dalla scomodissima impaginazione da quotidiano (doppia colonna) ed infarcito di pubblicità/vignette umoristiche messe a cazzo, l’ho pure dovuto trattare con il massimo riguardo perché il proprietario (mio fratello) consegnandomelo, mi ha promesso la gambizzazione in caso di dolo. Entrare in quella stanza scura e polverosa di casa sua è abbastanza impressionante: la sola collezione Urania completa è composta da non sono quanti libri (1500/2000??) ed alcuni, per preservarli dalla polvere, li ha pure coperti con un preservativo quadrato di plastica. Questa non è meticolosa cura, ma malattia. Un subdolo virus che l’ha portato negli anni ad acquistare volumi che in parte non apre nemmeno perché non di suo gusto o perché li ha già letti anni or sono in altre collezioni che ovviamente sono anch’esse ben impilate nel “bunker“.

Il disordine perenne, il pentolone di paella nel quale vivo quotidianamente, non solo mi fa dubitare del fatto che nostro padre sia lo stesso, ma mi ricorda pericolosamente le manie ossessive di un serial killer. Questo enorme ghirigori per dire una cosa che immagino possa interessarvi moltissimo, come il finale di una puntata di “Biutiful”, e cioè che per istinto di sopravvivenza ho sfogliato queste pagine ingiallite e vecchie di 40 anni manco si trattasse di un antico tomo scritto dagli alieni riguardante la genesi del nostro puntino blue.
Certi giorni trovo che scrivere qui sia bello proprio per questo; puoi prendere la tangente e parlare di cose inutili solo perché hai voglia di pigiare i tasti e sentirne il rumore; tanto il web è pieno di gente e magari qualcuno li perde pure 5 minuti per dare da mangiare al tuo stronzo e ridicolo egocentrismo. E così scrivi come la tortuosa guida di una stereotipata ragazza che per passare dal punto A al punto B non sceglie la via più breve e razionale, ma fa fuori un mezzo pieno di benzina pretendendo pure di avere ragione. La cosa importante però, ed io non l’ho fatto, è non esagerare …

Wikipedia mi ricorda che è l’esordio di James Ballard: autore britannico inquietante che ho sfogliato con gusto in “Il Condominio” e “L’Impero del Sole”. Il racconto lungo/romanzo stitico del quale vi voglio parlare oggi risente a mio parere di una forma espositiva non particolarmente scorrevole forse frutto dell'inesperienza. Non è solo una questione di impaginazione da galera e pubblicità: il lessico minimale e la descrizione caotica delle scene ci regala una nebbiosa visione d’insieme acuita dal fatto che i parchi personaggi con i quali veniamo a contatto risultano essere alquanto anonimi e freddi. Tutto ciò passa però in secondo piano perché il fulcro di “Vento dal nulla” non è zoomare sulle peripezie di pinco e pallino. A Ballard basta donare ai personaggi quel minimo di umanità che li possa differenziare dai robot. Più interessante è il messaggio, quasi filosofico, che emerge mentre descrive un vento che, forse a seguito di una tempesta solare, continua a crescere d’intensità fino a raggiungere velocità impensabili. Tale soffio finirà per sgretolare in pochi giorni quanto costruito pazientemente in secoli dall’umanità con un unico tentativo di resistenza/sfida reale al fenomeno. “Vento dal nulla”, ed è proprio quest’ultima parola di cinque lettere, nulla, che colpisce.
Nel cercare di descrivere un immaginario futuro catastrofico Ballard fotografa con estremo distacco l’animalesco ed istintivo egoismo del genere umano di fronte al pericolo e la contestuale incapacità di saper resistere alla forza distruttiva della Natura che, quasi per scherzo, comincia a tossire animatamente. E’ un libro imperfetto, ma assai interessante ed attuale.

Nel 1960 il genere catastrofico era in fase espansiva (basti pensare che questo è il primo di un poker di racconti della stessa risma scritti in sequenza dall’autore inglese), ma non aveva ancora le arterie irrimediabilmente intasate. Di quegli anni vi consiglio di leggere "Io sono leggenda" di Matheson, nel caso facciate parte della schiera della persone che abbia visto il pessimo film. Tornando all'oggetto della recensione, ho apprezzato molto il modo in cui è stata sviluppata la trama; nello specifico ritengo sia brillante l’incipit ed il finale: in sintonia con l’elemento di disturbo, paiono galleggiare in aria, privi di reali fondamenta. Ballard ci mette di fronte ad una problematica che non si sa bene come sia cominciata e nemmeno perché, e come, sia finita mettendo a nudo la precarietà del nostro vivere.

Una volta chiuso il sacro volumetto ho sentito la necessità di cercare e trascrivere una breve frase acre, cinica e machiavellica capace di catturare l’atmosfera che ho tentato di raccontare. Ve la lascio in bel corsivo debitamente virgolettato chiedendovi scusa per le innumerevoli divagazioni. Ora devo andare a chiudere le imposte di casa che da qualche minuto sbattono ritmicamente, in inquietante balia del vento.

“In questo momento comincia una forma di selezione naturale, e per dirlo con franchezza, io voglio essere tra i selezionati“.

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