Ascolto la "Sonata per Pianoforte" di Barraqué e mi chiedo cosa significhi, che cosa voglia comunicare.
Probabilmente non vuol comunicare nulla. Non è minimalismo, non è dodecafonia. E' un insieme di contrasti, di sensazioni opposte, di rabbia e di rassegnazione, che si susseguono l'un l'altro senza ragione né senso. E' come se Beethoven si fosse si fosse risvegliato in un giorno qualunque del novecento, avesse visto come era diventato il mondo, e fosse stato ben felice di non poter sentire. Divisa in due soli movimenti, Tres rapide e Lent, la "Sonata" è opera di amplissimo respiro e di sconfinata disperazione. E' come un grande monolite musicale, una piramide sonora austera e funerea, innalzata per un dio che non c'è. C'è Beethoven sullo sfondo, c'è qualche momento straniato di Debussy, c'è lo scintillio dell'ispirazione, c'è nella disgregazione del pezzo per pianoforte il barlume della nascita dell'elettronica.
Descrivere la "Sonata" di Barraqué è come interpretare un sogno che non hai mai fatto, risvegliarsi da un incubo e scoprire che la realtà ha ancora meno senso. E' come ricordare una persona che non c'è più, e a trovarsi a piangere e a ridere, così, contemporaneamente, mentre ne ricordi i momenti insieme e ne vivi al contempo la mancanza.
Ci sono note di pianoforte che risuonano nel silenzio, gocciolando, fastidiose come un rubinetto che perde, nelle notte. Note che si ripetono, inesorabili, come una campana che suona a morto, per qualcuno che non è mai veramente nato. Ci sono accelerazioni brutali, che si stoppano rabbiose come una macchina che ha corso troppo ed ora è ferma ad un semaforo che non diventerà mai verde. Ci sono momenti di solennità che celebrano il niente. C'è un disagio che flagella l'anima per staccare silenzi dolorosi e note scudiscianti come frustate, c'è la gioia senza perché dei bambini.
Uno dei più grandi, controversi e oscuri compositori francesi del Novecento, Jean Barraqué era un creativo nella disperazione. Un demiurgo ispiratissimo e un censore di se stesso. Non a caso Barraqué distrusse molte delle sue opere, e ne siano rimaste solo sette. La sensazione che si ha di fronte alla "Sonata" è quello di un grande, meraviglioso affresco musicale neoclassico coperto da una patina di dissonante assurdità. Un'opera da restaurare nelle orecchie dell'ascoltatore.
Un'apologia dell'incompiutezza, del precario, della disperazione e di tutto il suo potenziale creativo. Una grande tela di Penelope musicale che va ricostruita e distrutta, sempre ed ogni volta, ascolto dopo ascolto.
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