Umberto Eco è sicuramente uno degli autori italiani più letti all'estero e anche in patria. Il suo libro più famoso è senz'altro Il nome della rosa e fa piacere sapere che un regista francese lo ha apprezzato a tal punto da avviare una collaborazione con la produzione italiana e tedesca per realizzare un film che ha poi ottenuto un successo più che discreto e che reputo sia anche apprezzabile dal punto di vista del valore artistico. Come è lecito aspettarsi, il film differisce dal romanzo non tanto perché non ne promulghi la trama in modo fedele, ma perché è difficile convertire in un film di due ore un libro, specie se sfaccettato come quello scritto da Eco. E il problema non riguarda necessariamente un punto di vista quantitativo, ma specialmente uno qualitativo: tutto il piano filosofico del libro, nonché la molto più sfumata distinzione tra bene e male, sono elementi andati quasi completamente perduti nella trasposizione cinematografica de Il nome della rosa. Persino il significato del titolo non viene minimamente spiegato (anche se mi è stato detto che in altre versioni diverse da quella da me visionata sarebbe presente nel finale un particolare che farebbe intuire qualcosa, per quanto divergente dalla spiegazione fornita dal libro).

Mettendo tra parentesi tutto il paragone tra le due opere, lecito fino ad un certo punto, parliamo del film come opera a sé stante: il tutto inizia con una narrazione fuori campo che accompagnerà l'intero film, di fatto un racconto da parte di Adso da Melk, un ormai vecchio frate che narra le sue memorie riguardanti dei tremendi fatti avvenuti durante la sua gioventù, quando da novizio fu affidato al sapiente frate Guglielmo da Baskerville (personaggio che fonde le influenze derivanti dalle personalità di Sherlock Holmes e Guglielmo di Ockham), suo maestro, vivendo una particolare esperienza con lui. La storia tratta infatti di una serie di misteriose e cruente morti ai danni di una comunità di monaci che chiedono aiuto a Guglielmo, ex-inquisitore, affinché possa svelare che cosa sta avvenendo prima che fatti nefasti (apparentemente legati alle pagine dell'Apocalisse riguardanti la venuta dell'Anticristo) minino l'equilibrio di un'importante incontro tra rappresentanti del potere papale e sostenitori della dottrina pauperistica della chiesa che si terrà entro breve presso il monastero funestato dai terribili avvenimenti.

I monaci (tutti orridi e spesso deformi in un modo persino disumano) non sempre favoriranno l'azione di Guglielmo, che per la verità specialmente all'inizio sembra veramente un po' troppo uno Sherlock eccessivamente brillante e fuori contesto. Il sodalizio tra medioevo e thriller diviene però presto meno acerbo e, tassello dopo tassello, si va delineando un plot di assoluto fascino, non solo per quanto riguarda il misterioso caso da risolvere, ma anche le vicende personali dei due protagonisti, il giovane inciampato in un affare amoroso che gli procurerà numerose preoccupazioni, oltre ad avergli fatto trasgredire i voti, il saggio invece alle prese con la contrapposizione dell'infernale inquisitore Bernardo Gui, che farà emergere anche il passato per lungo tempo rimasto celato del vecchio Guglielmo. Il finale porta a comprendere la massa di deviazioni a cui la trama ci ha sottoposto, facendoci credere numerose volte di aver capito tutto ma in realtà rivelandoci infine che l'intreccio che avevamo immaginato non era paragonabile alla complessità di quello reale. La trama è meravigliosamente stesa lungo le due ore e poco più di film, nonostante qualche momento forse un po' troppo frenetico e affrettato, e alla fine il pur complesso intreccio riesce a risultare chiaro senza troppi problemi. Certo, la mancanza di attenzione può costare cara dal momento che la dovizia di particolari della narrazione ci costringe a prestare attenzione ad ogni secondo del film per non perdere qualche tassello per strada, ma non c'è nulla che non torni o che non venga spiegato alla fine, anche se all'inizio può apparire apparentemente insensato.

Degna di nota è l'interpretazione di Guglielmo da parte di un ottimo Sean Connery, come anche le appropriate ed evocative scenografie dell'ancora una volta nostrano Dante Ferretti. Da dimenticare invece le musiche di James Horner, che nonostante il curriculum di tutto rispetto avrà impiegato si e no mezz'ora a comporre le musiche di questo film, che oltre ad essere poco presenti (e fin qui nulla di male) sono piuttosto scontate, poco elaborate e non sempre adeguate alle situazioni rappresentate.

Numerose sono le menzioni di Aristotele, ma in modo abbastanza abbozzato, anche se poi il grande filosofo risulterà centrale nei fatti che la vicenda svelerà. Ben più presente dell'aspetto filosofico è invece quello religioso, non certo messo in luce particolarmente buona in questo film: pregiudizi medioevali di ogni tipo, argomenti ridicoli che vengono trattati presso congregazioni di importanza apparentemente epocale, perversioni che vengono persino date per scontate all'interno del monastero, il lato oscuro della cristianità messo in bella vista in svariati modi. E ultimo, ma non meno importante, un odore di marcio che pervade l'intera pellicola e a cui la tematica religiosa di cui essa è impregnata contribuisce in modo probabilmente più consistente che i bigi cieli medioevali e il lerciume onnipresente. Gli stessi monaci, come si diceva poc'anzi, sono tutti dotati di fattezze orripilanti, quasi mostruose, quasi a voler rappresentare la fede malefica che sta poi alla base di tutte le ingiustizie presenti nel film. Guglielmo rappresenta la ragione in questo mare di follia, ma la ragione comunque unita a Dio, la ragione di un Sant'Agostino o al massimo di un Cartesio: amante della conoscenza e quasi eroticamente attratto dai libri, Guglielmo è il mediatore tra fede e ragione, che pecca di superbia ma dimostra di avere ragione.

Infine, la tensione è regolata in modo molto buono lungo la durata di questo film, che sarà senz'altro in grado di regalare più di un forte brivido ai fruitori e lasciare qualcosa nei loro cuori.

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