Nel 2014 l'AIDS sembra ormai qualcosa di lontano, passato, rilegato agli anni '80, quasi una leggenda. Ma non lo è. L'AIDS non è passato. Ad oggi, più di 34 milioni di persone convivono con questo terribile virus, e le nuove infezioni sono centinaia ogni giorno. Nonostante la sua mortale portata l'epidemia è stata quasi ignorata dal cinema e dalla televisione, e troppo spesso rappresentata in modo superficiale, stereotipato, distorto.
Perché? Semplice. Perché parlare di AIDS vuol dire parlare di morte, di sangue, di sesso, di omosessualità, di droga, di malasanità. Argomenti che non vanno a nozze con i mainstream media e che non vanno di solito a genio al pubblico. Ora non voglio annoiarvi con la storia della rappresentazione dell'AIDS nella storia del cinema e della tv, ma voglio invece parlarvi di un film uscito di recente nelle sale cinematografiche, Dallas Buyers Club.
È la storia vera di Ron Woodroof (Matthew McConaughey) un rozzo e omofono elettricista texano che nel 1985 scopre dai medici di aver contratto l'HIV e di avere al massimo 30 giorni di vita. Woodroof non vuole arrendersi, non può arrendersi alla prospettiva di una morte imminente. Dopo essersi procurato illegalmente il farmaco antiretrovirale AZT decide di recarsi in Messico scoprendo l'esistenza di farmaci alternativi e più efficaci nella cura dell'HIV/AIDS non approvati negli Stati Uniti. Con l'aiuto del transessuale Rayon (Jared Leto) Woodroof inizierà un traffico di farmaci alternativi, vendendoli a chiunque li richieda e fondando il Dallas Buyers Club. Il film di Jean-Marc Vallée non è facile. Ha i suoi difetti, le sue imprecisioni. Il suo protagonista è un anti-eroe, un uomo egoista e materiale con il quale è difficile trovare una connessione. I suoi co-protagonisti non spiccano e, nonostante la bravura, sono personaggi di contorno, sovrastati dalla favolosa e imponete interpretazione di un dimagrito e trasformato McConaughey. Dallas Buyers Club non è un film buono ma non eccelso. E allora perché parlarne? Perché è innovativo. Perché in una Hollywood dove l'AIDS è un tabù, una parola da sussurrare, questo film si propone con franchezza e novità, spoglio dalle facili emozioni e dalle lacrimucce scontate di Philadelphia. Voglio riassumere le mie idee in 5 punti.
Omosessualità/Eterosessualità: prima di essere definita AIDS nel 1982 (Acquired Immune Deficiency Syndrome) l'epidemia era chiamata GRID ovvero Gay-Related Immune Deficiency poiché si era manifestata quasi unicamente in soggetti omosessuali. Negli anni la fama dell'AIDS come cancro gay è rimasta, rimane tuttora. I media, che hanno anche uno scopo informativo, hanno fatto poco per cambiare questa idea. In quasi tutti i film sull'HIV/AIDS i malati sono persone omosessuali. In Dallas Buyers Club non è così, il protagonista non solo è un americano bianco, ma ha contratto il virus tramite un rapporto sessuale non protetto. Inoltre c'è un accenno anche ai movimenti attivisti gay, fatto quasi inedito nei lavori precedenti.
Sesso: il sesso abbonda nel film, ma solo quello eterosessuale. Penso che un rapporto sessuale tra una persona positiva e l'altra negativa sarebbe stato estremante innovativo. Avrebbe infatti sfidato l'idea del malato di HIV come 'intoccabile'. Putroppo dopo la diagnosi Woodroof si astiene nell'avere rapporti se non uno con una ragazza positiva. I condom non sono nemmeno menzionati. Peccato.
Cure Mediche: Se in Philadelphia Andrew non ha nessun problema ad accedere alle cure mediche Woodroof è disperato nello scoprire di non poter ottenere l'AZT. Questo è molto più realistico. Inoltre il film critica aspramente l'FDA e la lobby farmaceutica per vietare l'uso di altri farmaci al di fuori dell AZT e condurre la sperimentazione di quest ultimo in modo poco chiaro.
Sentenza di morte: l'AIDS è, ma sopratutto lo era in passato, considerata una sentenza di morte. Bum, risulti positivo al test, la tua vita è finita, tanto vale arrenderti. In Philadelphia assistiamo al veloce degradarsi del corpo di Andrew, per lui non ci sono speranze. Dallas Buyers Club invece sembra voler dare un messaggio di speranza. Woodroof è certamente smagrito, ma non ha lesioni KS su tutto il corpo, non ha un aspetto ripugnante. Per ben 7 anni dopo la diagnosi iniziale vive una vita difficile sì, ma non da morto vivente, non rilegato ad un letto.
Questo è quanto. Certo, voi potete ribattere che il film è impreciso e che le droghe che Woodroof importava forse erano persino inutili. Potete dirmi che la pellicola getta fango sull'AZT, un farmaco che ha salvato milioni di vite. Potete dirmi che Jared Leto sembra una caricatura, o che McConaughey era molto più carino quando faceva le commedie con Jennifer Lopez.
Potete dire quello che volete, non penso che questo film sia perfetto. Penso che sia un piccolo e ammirevole passo verso una rappresentazione dignitosa, meno stereotipata e più veritiera di questa malattia che non deve essere dimenticata. MAI.
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