"Zoolook" è un album da tempo controverso, specie tra i fans di Jarre; che se da un lato cominciarono a capire che non si stava fossilizzando su un collaudato clichè musicale (quello alla "Oxygene" per intenderci) dall'altro videro una sorta di tradimento dello stile che lo aveva portato al successo, un successo di qualità, tra l'altro.
"Zoolook" in effetti è un album rivoluzionario nella discografia del francese, specchio dei tempi ed espressione di una volontà di evolversi che non faceva mistero di qualche perplessità autoriale. Dall'elettronica di ispirazione cosmica e minimalista, tutta atmosfere e suggestioni sci-fi, ad una elettronica intrisa di metropolismi e sperimentazioni vocali, di riferimenti etnici e ritmi ridondanti: un passo che fu più un balzo e indubbiamente spiazzò il pubblico di allora.
Io sono tra coloro che apprezzò molto questo nuovo fronte compositivo, anche in virtù del mio crescente interesse per una coniugazione della sperimentazione con un approccio più fruibile. In questa direzione Jarre aveva sicuramente intuito che la stagione dorata dell'elettronica intellettuale e votata alle lunghe introspezioni stava terminando; ed erano gruppi come gli Art Of Noise (o tra le vecchie leve i Kraftwerk) a tenere banco tra le nuove generazioni. Del resto l'avvento del campionatore come abbordabile strumento di creatività sonora stava conoscendo proprio in quel periodo le sue prime glorie e Jarre non si lasciò sfuggire l'occasione di mettere la sua sensibilità melodica al servizio di una musicalità più sfaccettata.
Alcune caratteristiche peculiari del suo stile non si inabissarono nell'aspetto ludico di "Zoolook", come qualcuno diceva gridando allo scandalo. I primi due lunghi brani, per quanto pervasi di barocchismi vocali e trovate effettivamente più vicine agli Art Of Noise che ai Tangerine Dream, mantengono una linea culturale tipicamente francese e una narratività sempre vicina al simbolismo pittorico. "Ethnicolor" è un mastodontico inno all'era delle nuove comunicazioni inter-razziali, che con alternarsi di sospensioni sussurrate e smaccate incursioni digitali, trionfa su un finalone sinfonico struggente, arricchito dal basso martoriato di Marcus Miller. Subito dopo "Diva", tessuto sui vocalizzi campionati dell'ospite Laurie Anderson ('sti cazzi che ospitini), passa dai gocciolii cavernosi di ambienti nuovamente cosmici ai divertissment futuristi che non sfigurerebbero davanti a una scultura di Balla.
Quindi una serie di pezzi godibili che ritmano senza soluzione di continuità l'ascolto e mescolano abilmente sensazioni dance con reminiscenze robotiche alla Kraftwerk e pre-citazioni alla Jarre degli album successivi. Quando non particolarmente metronomiche, le armonie si fanno più world e se vogliamo jazzate, con i loop metropolitano-africani di "Woolomolo" e le spernacchiate saxofonistiche di "Blah-Blah Cafè".
A chiudere "Ethnicolor II" che non ha nulla dell'omonimo brano di apertura e si fissa invece su atmosfere alla Blade Runner, disegnando i contorni di un qualche angolo di città del futuro popolata dalle malinconie di individui umani e mutanti.
Un disco più omogeneo e coerente di quanto possa sembrare, anche se meno strutturato di album come "Equinoxe", perchè imperniato su una vivida concettualità che trasforma in suoni le immagini di un mondo in divenire, improvvisamente consapevole che proprio la città di Blade Runner - nel 1982 ancora dotata di fascino futuribile - pochi anni dopo era già realtà.
Il Jarre meno Jarre di sempre con "Zoolook" realizza un'opera emblematica del cambiamento tecnologico della musica nei dorati anni '80 e dimostra anche di saper guardare oltre gli orizzonti meccanici di "Oxygene".
Opera a mio avviso ancora sottovalutata e misconosciuta, sarebbe perfettamente funzionale e da voto pieno se non fosse per qualche lungaggine e qualche indulgenza di troppo.
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