Uh-oh! Ci fanno notare che questa recensione compare anche (tutta o in parte) su GiroDiVite.it e Akkuaria.com

"La censura ha mutilato il mio film e guardate quanta infamia!" (J. Vigo)

"Cineasta esteta e cineasta realista, Vigo evita sia i trabocchetti dell'estetismo che quelli del realismo"
(Truffaut).

Era il lontano 1934 e il giovane Jean Vigo, con il produttore Nunez, realizzerà quello che è considerato uno dei capolavori dell?intera cinematografia a detta di moltissimi critici (tra cui lo stesso Francois Truffaut): "L'Atalante".
Un film che segna il passaggio tra il vecchio modo di fare cinema e la moderna concezione d'uso della mdp, della fotografia, della musica e del lavoro sugli attori. Con un cast di attori di un certo calibro (Michel Simon, Jean Daste, Dita Parlo), e un soggetto su una storia d'amore "quasi banale", il 28enne Vigo costruisce un'opera che detta le leggi di una nuova grammatica cinematografica, e che in moltissimi suoi aspetti anticipa quello che diventerà il cinema dei giorni nostri.

Vigo ne "L'Atalante" raggiungerà infatti il compimento del suo capolavoro. Qui, dopo alcuni documentari sul mondo del nuoto, adotta per la seconda volta (primo al mondo) l'effetto-rallenty per ottenere effetti di grande suggestione e poesia (la prima fu nell'altrettanto splendido "Zero in condotta"), rinuncia alle accellerazioni nelle scene di azione tanto amate nei suoi predecessori, racconta per immagini pensieri, dubbi e introspezioni mai affrontate dal cinema prima d'ora. Filma una realtà che si nutre di un simbolismo ricercato raggiungendo momenti di altissima poesia.

"L'Atalante" affrontava un grande tema: la nascita di una giovane coppia, la difficoltà di relazione tra uomo e donna che, all'iniziale euforia dell'accoppiamento succedono inevitabilmente i primi scontri, la voglia di scontro, la fuga, la pace fatta e finalmente l'accettazione dell'uno da parte dell'altra. Il classico iter dell'80% delle coppie della nostra amata/odiata società.
La trame infatti parla di Jean (un alter-ego?!), giovane capitano d'un battello, l'"Atalante", che si sposa con Juliette, una ragazza di campagna e la porta a vivere con sé sul battello. Dopo qualche mese, Juliette, comincia ad annoiarsi e, suggestionata dai racconti del vecchio marinaio "Pere Jules" (grandissimo personaggio burbero & poeta assieme vero antesignano della vita bohemien), decide di darsi alla fuga e scappa nella Grande Metropoli. Frastornata e delusa dalla città, la ragazza tornerà però sul battello scoprendo che il marito geloso l'ha abbandonata. Il vecchio marinaio, userà tutta la sua maestria per convincere Jean a ritornare sui suoi passi.

Un film visionario pur all'interno di una storia direi "classica" con alcune scene indimenticabili: quando il capitano del battello, abbandonato dalla giovane moglie si tuffa nelle acque del fiume per seguire l'antica leggenda secondo cui nell'acqua si vede il volto della persona amata: e infatti in sovraesposizione, vedrà il volto angelico della donna (scena abbondantemente saccheggiata e resa mitica dalla sigla di "Fuori Orario" di Ghezzi su Rai3). L'altra scena è quando la moglie entra in città con gli effetti stroboscopici di straniamento e confusione dati dalla nuova scoperta, su musica di jazz stranito e rumorismi davvero all'avanguardia per quell'epoca. E poi lo stacco tra il primo piano dei due sposi abbracciati e il campo lunghissimo, dall'alto della chiatta in controluce. Scene oggi abbastanza "normali" ma che allora rappresentarono una vera e propria rivoluzione di linguaggio.

Il film di Vigo fu giudicato "non commerciale" e non adatto alla visione da una censura non abituata a tante "stranezze" e si cercò di "salvarlo" tagliando alcune scene e dando maggior rilievo a una canzonetta francese allora popolare, "La chaland qui passe" lanciata da Lys Gauty, che altro non era che il rifacimento francese di "Parlami d'amore Mariù". Il titolo del film cambiò in "La chaland qui passe", e le canzoni originarie composte da Jaubert eliminate.
Il nuovo film (il 29enne Vigo, ormai malato, non venne a sapere dei tagli fatti sulla sua opera), fu lanciato alla fine del 1934 e fu un flop senza precedenti. Pochi giorni dopo la proiezione il regista morirà di tisi assistito dalla giovane moglie.

Signori: come entrare nell'Olimpo della Storia del Cinema a soli 29 anni e con soli due veri film (e con meno di 3 ore di materiale montato)!
Quando si dice UN MITO.

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