« ...lei è la lacrima che resterà sospesa nella mia anima per sempre... »
Di recensioni su Jeff Buckley ce ne sono a bizzeffe, e io di sicuro non aggiungerò niente di nuovo su quanto è già stato detto, ma, credetemi amici miei, mi sento in dovere di scrivere qualche riga su un cantante, su un ragazzo, su un angelo che mi ha cambiato la vita.
Ha cambiato la mia vita con la sua voce angelica, con la quale esprimeva tutta la malinconia che portava appresso, con la quale sussurava dolci parole tristi, con il suono della sua chitarra con la quale componeva perle magnifiche. Un genio, figlio a sua volta di un altro genio, Tim. Da sempre Jeff ha vissuto sotto l'ombra del padre celeberrimo, in vita non lo cagava nessuno, ai suoi concerti c'era sempre poca gente. Poi il 21 Maggio 1997 si lascia andare nelle acque di un affluente del Missisippi e va sempre più al largo. Sempre di più. Fino a che non scompare. Il suo corpo verrà ritrovato 5 giorni più tardi. Sembra un racconto inventato a sentirlo così. Ma questa è la vera storia di un artista che ha avuto una delle voci più belle della storia della musica.
"Grace" è un album pieno di malinconia, rabbia, delusioni. Il leggero rumore delle dita sulla chitarra accompagna una voce calda, rilassante, angelica. Canzoni che vengono create per rimanere nel cuore di chi le ascolta, canzoni che raggiungono la perfezione artistica. "Mojo Pin" introdotta dalla leggera voce di Jeff più il pizzicare delle corde, per sfociare in pura rabbia con l'avanzare della traccia. "Grace" che ogni volta mi fa venire i brividi nella parte finale: una voce per la quale ogni parola sarebbe sprecata. Le malinconiche "Last Goodbye", "Lilac Wine", "Dream Brother", "Corpus Christi Carol" unite alla rabbiosa "Eternal Life" e alla romantica "Lover, You Should've Come Over" rendono questo disco molto variegato e con pezzi diversi tra loro, ma sempre riconducibili al tema principale a cui fa punto fisso Jeff Buckley: la malinconia. Capitolo a parte è la cover del cantautore canadese Leonard Cohen, la quale vanta di numerosi tentativi di imitazione, ma la versione di Jeff resta insuperata. Qualcuno la chiama "la madre di tutte le cover". Perchè, dopo l'intensa interpretazione di Jeff sull'album in analisi, la versione con la quale confrontarsi, per tutti, è stata questa, invece dell'originale di Leonard Cohen. La voce appassionata di Jeff e la sua chitarra che scioglie il cuore sembrano i compagni perfetti per il sublime incipit: "Now I've heard there was a secret chord/ That David playeed, and it pleased the Lord/ But you don't really care for music, do you?".
Vogliatemi scusare se ho avuto la sfrontatezza di scrivere una recensione inutile (perchè ne sono reo, non ho aggiunto niente di nuovo a quello che c'era già scritto in altre recensioni), ma Jeff Buckley mi ha aiutato in un momento buio della mia vita, attraverso la sua voce paradisiaca e le sue composizioni regali. Gli dovevo queste parole d'affetto, che dentro di me non scompariranno mai.
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