Credo che essere un figlio d’arte e cambiare la storia della musica con una cover, possano entrare di diritto nella Top Ten delle cose umanamente più difficili al mondo, dopo ovviamente il sopportare cinquantenni su internet che fingono di essere ventenni. Nella mia non di certo lunga esistenza ho incontrato, per così dire, solo un artista che, in un solo album, è riuscito in entrambe di queste due titaniche imprese. Il suo nome? Jeff Buckley con il suo album “Grace" (1994).
Ma entriamo più nel merito di queste due imprese messe in atto dal buon Jeff e dalla sua angelica voce. Quando tuo padre si chiama Tim Buckley, ovvero quel bel tipo che mi piace definire il "Bob Dylan che sapeva suonare e cantare”, sperimentatore, innovatore e stimato dal lontano periodo dei fiori, stampare il proprio nome nella storia della musica con un tale fardello sulle spalle non sembra obiettivamente una soluzione fattibile, ma sarà la voce sognante e potente con un range vocale in grado produrre tracce come “Dream Brother” che tocca tonalità incredibilmente basse per un tenore, per poi raggiungere la “vetta” in canzoni come “Grace” o “Mojo Pin”, sarà la capacità di passare da una traccia come “Corpus Christi Carol” un canto tradizionale da chiesa, con riverberi lunghi e distesi, a una canzone come “Eternal Life” dalle sonorità sicuramente più incisive, con una linea di basso incazzatissima alla Rage Against the Machine e chitarre con suoni scuri e distorti alla Alice in Chains, sarà che l’intero album funziona sia come una progressione di tracce sia come singole canzoni, sarà stata la capacità di distinguersi con un genere e una versatilità che non si conformava a nessuna delle mode dell’epoca, composte principalmente dal grunge di Seattle e dal rock/metal reduce dei luccicanti anni ’80, sarà che Jeff Buckley era un gran figo, ma incredibilmente, quando ascolti “Grace” non pensi: “Eh però il padre era meglio”. Quando ascolti “Grace” semplicemente stai in religioso silenzio e ti lasci trasportare dalla soavità di note che si succedono in una progressione incredibilmente piacevole e godibile persino per chi, nella musica, ama solo l’ascolto disinteressato.
Ma veniamo ora alla seconda fatica di Buckley, quella che probabilmente lo ho reso famoso e ascoltato tutt’oggi, quella che ogni anno conduce qualche musicista con poca fantasia a portare una cover di “Hallelujah" ad un talent show o a caricarla su YouTube. In realtà le cover dell’album sono due: la popolarissima e straordinaria “Hallelujah" appunto, scritta e arrangiata nella versione originale da Leonard Cohen e “Lilac Wine” altrettanto straordinaria ( se non di più ) ma non così ricordata, di James Shelton. Con meno aspettative di vittoria del Leicester di qualche anno fa, Jeff, giovane ragazzo appena ventisettenne all’album d’esordio, sfida un titano ( rimanendo in parallelismi mitologici ) come Leonard Cohen, un altro che della propria voce ne ha fatto un marchio di fabbrica, un’artista di uno spessore immenso e già in attività da decenni. Che ci crediate o meno, Jeff vince, anzi stravince, tanto da far dimenticare in toto la traccia originale di Cohen che viene letteralmente annullata da uno degli ri-arrangiamenti più importanti e influenti della storia della musica. Molti vedono il panorama di Seattle come l’emblema della rivoluzione giovanile anni ’90, ma se ci pensiamo bene, Jeff è stato l’unico in grado di dare un vero calcio al passato, con quel carattere audace e quella presuntuosa volontà giovanile di riscrivere la musica a proprio modo, è lui, prima di tutti, il vero rivoluzionario degli anni ‘90.
In conclusione “Grace” è un album straordinariamente bello per quanto avesse tutte le carte in regola (insieme al suo autore) per diventare un grandissimo fallimento artisticamente e come vendite, ma “Grace” non è solo questo, “Grace” è anche un esempio di come un giovane ragazzo armato di qualche strumento sia riuscito a segnare una X fondamentale nella storia della musica mondiale, ribaltando le generazioni passate e riuscendo nell'ardua impresa di farle dimenticare al solo tocco del tasto Play.
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