What’s the point of having a voice
When it gets stuck inside your throat?
I gesti quotidiani, le routine, le miserie accumunano il genere umano. Ecco c’è chi fa male anche quelli, che s’impegna con grazia ad essere maldestro ed inadeguato. Sono dei piccoli eroi che scardinano lo status quo, in mezzo al circo dell’onnipresente “faccio del mio meglio/ottimizzo”. Così finiscono per diventare il dileggio degli uniformati, che informandosi a vicenda ottimizzano grossi banchetti di risate alle spalle.
Jeff Rosenstock me lo immagino così, un eroe fuori posto che canta il collasso nervoso degli Stati Uniti attraverso il proprio, come innumerevoli predecessori. L’immagine ricorrente è l’asfalto su cui incrocia fugacemente volti diretti verso l’arcinoto, interstatali, pompe di benzina, quadretti di miseria comune. Jeff impazzisce, almeno lui ne è cosciente. Lo grida ad un mondo che sfreccia su strade viziate, stanco ed annoiato.
Il resto è storia di privazione del sonno, tanta rabbia per una nazione che non riconosce più, ansia, nostalgie per una giovinezza che va a farsi fottere (Jeff è dell’82). Un album genuino, una ventata di fresca incazzatura power-pop, pop-punk o più semplicemente indie-rock. Reminescenze della creatura di Will Toledo, i Car Seat Headrest, dei primi Weezer, dei Cymblas Eat Guitars.
Le canzoni migliori sono USA, All This Useless Energy e 9/10, ma pure il resto è una bella scarica.
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