"Lost in the Translation" è probabilmente il più bel disco da solista di Jeff Scott Soto, ex socio di Malmsteen, cantante dei Talisman e chi più ne ha più ne metta.

Chi è in cerca di qualcosa che sfugga deciso dai canoni del genere rimarrà probabilmente deluso, chi vuole invece ascoltare un buon disco hard rock, magari passato un po' inosservato a suo tempo, può essere accontentato.

Dopo una "Believe In Me" orecchiabilissima e eletta perciò a singolo del lavoro si entra subito nel vivo con "Soul Divine" e "Drowning": la voce è pulita e convincente, l'energia sprizza da ogni strofa e la sezione ritmica della band spinge forte sull'acceleratore.

I giri di chitarra di Howie Simon risultano azzeccati e non tolgono mai dal primo piano la voce di Soto, ma appena gli assoli riescono a distendersi in piani più articolati vengono fuori i pezzi più belli dell'album: "Lost in Translation", la già citata "Soul Divine" e "Find Our Way", che pure è quella con il ritornello più facilmente vendibile, si insinuano, colpiscono e restano in testa fino a farti premere nuovamente play.

Immancabili le ballate, "If This Is The End" e "Beginning 2 End" scivolano eleganti e coinvolgono, almeno al primo ascolto; i testi un po' banalotti e l'impressione di aver già sentito qualcosa di simile altrove (Bon Jovi è il primo che può venire in mente, ma non l'unico) fanno sì che questi pezzi non vadano a ricoprire d'oro la pur buona base portante del disco.

La chiusura è affidata a "Sacred Eyes": i suoni stoppati delle due chitarre classiche e il tempo incalzante a far correre il testo
spensierato ("Can we meet under a velvet sky? Where red is  green and love has no alibi") la rendono uno stacco gradito a fine album.

"Lost in the Translation" non è un lavoro che stupisce, però si fa applaudire e per gli amanti del genere di Mr Big e affini non sarà tempo perso.

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