La musica e il cinema sono due mezzi espressivi profondamente diversi, che contengono innumerevoli differenze, sfaccettature, angoli e punti di vista volti a dare emozioni all'ascoltatore/spettatore. Due metodi differenti, ma ugualmente efficaci.

E se si provasse a mischiare musica e cinema, che cosa accadrebbe? Mix perfetto o indigesto? A darci una risposta ci prova Jeff Stein con questo "The Kids Are Alright", documentario (o meglio, rockumentary) dedicato, come il titolo suggerisce, al leggendario gruppo composto da Pete Townshend, Roger Daltrey, John Entwistle e Keith Moon: The Who. Spezzoni di concerti, interviste e siparietti televisivi, con lo scopo di farci conoscere al meglio non solo le opere di questi quattro artisti, ma di farci entrare nell'ottica e nel contesto in cui vivevano, i turbolenti anni '60 e '70, e inoltre fornirci un quadro anche più psicologico e umano di quelle che, dopotutto, sono solo persone, sebbene alimentate da estro e genio fuori dal comune.

Ci vengono mostrate quindi performances leggendarie, come ad esempio "Pinball Wizard" fatta a Woodstock, o quella in cui suonarono, durante "The Smothers Brothers Comedy Hour", una esplosiva versione (in tutti i sensi) di "My Generation", con classica distruzione degli strumenti a fine esibizione e perfino l'esplosione della batteria (che rese Pete Townshend sordo per una ventina di minuti); ma, oltre a ciò, si assiste anche ad interviste fatte al gruppo e non solo, partecipazioni a show televisivi, spezzoni di vita quotidiana che vedono anche comparsate illustri (Ringo Starr su tutti) e quant'altro, che testimoniano come il "fenomeno Who" si espandesse non solo in ambito musicale, ma anche in quello sociale: idoli dei mods, simboli di una generazione in cerca di spazio e libera da oppressione, acclamati come salvatori della patria.

Ma i quattro inglesi erano anche uomini, complessi e al limite della frustrazione, in cerca di equilibrio e di controllo nelle loro vite fatte di pazzie. Gli Who furono questo e non solo; ogni inquadratura infatti, ogni secondo di questa pellicola fa trasparire pura adorazione e devozione per la band britannica (non a caso, Jeff Stein era un fan sfegatato del gruppo), ma senza darci l'impressione di eccessiva celebrazione o auto-compiacimento: ogni momento quindi ci comunica come gli Who siano stati fondamentali per moltissime persone, non solo come pura band rock, ma fornendo anche motivazioni e ideali.

Il film però, si segnala anche per motivi meno felici: infatti viene qui mostrata l'ultima performance in studio di Keith Moon ("Who Are You") prima della morte, avvenuta pochissime settimane prima dell'uscita della pellicola. Il film acquista quindi anche un significato celebrativo, un meritato tributo nei confronti di uno dei più grandi musicisti della storia, che qui viene ritratto in tutto il suo talento, la sua lunaticità e la sua ironica pazzia.

Un film che merita assolutamente la visione, sia per i fan di vecchia data del gruppo sia per coloro che vogliano approfondire la conoscenza di una delle band più importanti e significative del rock.

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