Onestamente non ho ancora capito se leggere le (auto)biografie mi piaccia o meno. Alla fine è un po' come spiare la vita di qualcuno, e poi si rischia che l'impressione su quest'artista o quel cantante venga completamente ribaltata (non leggete la biografia di Elliott Smith), oppure che restituisca esattamente l'immagine che ci eravamo fatti (si veda Nick Drake).
D'altra parte è anche vero che chi scrive un'autobiografia vuole condividere qualcosa, guardarsi allo specchio, far cadere una maschera, o magari indossarla, restituire un'immagine distorta: ma questo forse non lo sapremo mai.
Quella di Jeff Tweedy, Let's Go (So We Can Get Back), forse rientra nella prima categoria: "I wanted to write about, and understand, and share the part of me that has always been able to be vulnerable". Leggere il libro è come ascoltarlo nelle interviste, con quel suo tono (auto)ironico che tradisce una timidezza di fondo, l'imbarazzo di mettersi a nudo, nero su bianco. In alcuni tratti della scrittura si riconosce anche l'impronta autoriale che si ritrova nelle canzoni. Si respira America, una cittadina dell'Illinois, poi Chicago, si sente il sapore dolce delle bibite gasate con cui Tweedy racconta di aver sostituito sostanze che danno dipendenze di ben altra portata.
E la storia della dipendenza da psicofarmaci viene raccontata con la consapevolezza di un uomo ormai maturo, ma non è il tema principale del libro. Ne parla quasi en passant, per il resto si parla di famiglia di origine, di un'infanzia passata a guardare la TV di notte con la madre svegliando il sonno del padre, narcotizzato dalla sua dose serale di sei birre. Poi di negozi di dischi, di un'adolescenza da punk, di Uncle Tupelo e di come è andata a finire con Jay Farrar. Di vent'anni di Wilco, e di com'è andata a finire pure con quell'altro Jay (Bennett), su cui Tweedy fa sentire la sua campana senza morbosità. Del fatto che la fama sia arrivata per passaparola, si sia autoalimentata (paradossalmente, anche grazie alla pirateria), e non sia quasi mai passata per la promozione. Della storia di alcune canzoni.
E ancora di famiglia, dei tumori ripetuti della moglie Susie, del rapporto coi figli, ricostruito dopo anni di assenza e basato in gran parte sulla musica (cfr. il progetto "di famiglia" Tweedy che ha portato a Suskierae), del momento intensissimo della morte del padre.
Si parla di musica, di songwriting, dell'idea di condivisione. Emerge qui il primo motore dei Wilco (e forse di Tweedy stesso, che ne è la forza creatrice), cioè la volontà divisiva di voler rifuggire tutte le etichette, che li ha sempre portati a sperimentare e a rinnovarsi un disco dopo l'altro, dallo scotch messo sul piano sul finale di Poor Places, all'ingresso di Nels Cline, fino (evidentemente) alla "nudità" dell'ultimo disco per dare un altro schiaffo ai fan e alle loro aspettative, passando per le copertine di Star Wars e Schmilco, create per "sgonfiare" l'immagine della band. (Tra l'altro, in un'intervista Tweedy ha raccontato che sperava che il titolo Star Wars gli costasse una querela da parte di Lucas o di chi per lui, che però non è arrivata).
Non mancano aneddoti divertenti, come le ex compagne di scuola che gli chiesero se suonasse ancora in quel gruppetto quando lui era tornato nella sua città d'origine proprio per suonare, già con un Grammy in tasca. O come quando racconta della sua esperienza sessuale o del fatto che un litigio con l'etichetta e lo scambio illegale di musica abbiano garantito il successo di Yankee Hotel Foxtrot, permettendogli di non uscire l'11 settembre 2001. Chissà che casino, con quelle due torri in copertina...
Ma fa sorridere soprattutto quel tono dimesso e l'autoflagellazione frequente, le battute di Tweedy mirate a Tweedy.
L'immagine di Tweedy che emerge dal libro è quella dell'anti-rockstar: lontano dal jet-set, dalle donne, dal potere opprimente delle etichette (in tutti i sensi). Tweedy è un uomo qualunque, ormai maturo che è sceso a patti col dolore e che ha fatto della vulnerabilità il suo punto di forza, e lo dimostra (anche se un po' a fatica, con una certa pudicizia) anche tra le pagine di questo libro.
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