Se trent'anni fa un lavoro del genere ha riscosso un successo commerciale enorme, sconquassando le classifiche inglesi ed europee, allora vuol dire che almeno musicalmente le cose andavano in maniera molto diversa rispetto ad oggi, e che il valore di certe opere era preso nella giusta considerazione anche dal grande pubblico. Forse perché ancora erano nell'aria i sontuosi ricordi dell'era progressiva, forse per la fama del romanzo di Wells, fattostà che Jeff Wayne's Musical Version Of The War Of The Worlds ha avuto un successo stratosferico che perdura ancora oggi.
L'album è del 1978, ed è un'opera monumentale divisa in due corposi dischi e che vede un gran numero di musicisti uniti attorno a Wayne e al suo compositore di supporto nonché paroliere, Gary Osborne. Alcuni nomi sono quasi clamorosi: Justin Hayward dei Moody Blues, il sommo chitarrista Chris Spedding, Phil Lynott dei Thin Lizzy; una bella fetta della crema del rock. Ma ci sono anche le narrazioni, brani di Wells riscritti e interpretati magistralmente dalla maschia e profonda voce di Richard Burton. Il disco fa perno sulla vicenda raccontata ne La Guerra dei Mondi, mantenendo la fortunata ambientazione vittoriana e rielaborando leggermente la trama con l'aggiunta di qualche personaggio. Wayne e i suoi dispiegano tutta la tecnologia che la composizione musicale disponeva ai tempi, e quindi sintetizzatori, mellotron, chitarre distorte in maniera assurda, percussioni elettroniche, orchestra e suoni inquietanti fanno bella mostra di sé; inoltre per la registrazione viene utilizzata un'innovativa tecnica analogica che sarà poi ripresa negli anni 80; nulla è lasciato al caso e infatti la produzione è accuratissima e il suono incredibilmente moderno ed efficace. Il risultato sono dodici brani molto vari, in cui si ripropongono vari temi e suoni, come per esempio lo spaventevole grido delle fighting machines marziane.
I temi più celebri e riconoscibili sono quello drammatico e orchestrale di The Eve Of The War, che ritorna spesso lungo tutto il disco, quello minaccioso e distortissimo che richiama il raggio di calore alieno, l'ipnotico e ultraterreno incedere di The Reed Weed, in cui tra l'altro Chris Spedding da un saggio della sua capacità ritmica con la chitarra. Tra i brani notevoli ci sono Thunder Child, ovvero il duello senza speranza tra una corazzata e i mostruosi tripodi alieni e Spirit Of Man, con bei duetti tra il parroco pazzo interpretato da Lynott e la splendida voce di Julie Convington. Appena sufficiente la prova di Justin Hayward in Forever Autumn, brano sentimentale che spezza l'atmosfera drammatica e oppressiva con liriche piuttosto mielose, ottima invece Brave New World, dove non solo troviamo una splendida prova dell'attore David Essex nei panni dell'Artigliere, ma anche un curioso refrain a base di percussioni elettroniche distorte e riff di sintetizzatore esaltanti che verrà impiegato anche nel glorioso epilogo (c'è un altro epilogo che chiude l'album, ma è una specie di scherzo).
C'è da dire che le recitazioni e le parti narrate accrescono notevolmente il pathos e il coinvolgimento dell'ascoltatore, ma sono anche una delle pecche del disco, perché presuppongono ovviamente la lettura del romanzo nonché un'ottima conoscenza dell'inglese. Per capirci, questo non è un album da ascoltare a tempo perso, ma va assaporato pian piano e seguito come un vero e proprio musical, anche perché la durata è notevole e spesso si tira un po' troppo per le lunghe, oppure, come nel caso di Spirit Of Man, l'interpretazione dei cantanti-attori è così spinta e intensa da risultare un po' stucchevole. Non c'è da stupirsi che l'album stia ancora mietendo grande successo proprio come spettacolo live, perché è sul palco che la sua dimensione recitativa può coerentemente e completamente esprimersi.
A conti fatti la War Of The Worlds di Jeff Wayne e compari mi pare una scommessa vinta, lodevole per il suo coraggio sperimentale e la sua coerenza intellettuale; un lavoro elegante e genuino, curato nei minimi dettagli, compresi gli artwork, e sintomo di un impegno artistico notevole. Insomma, un discreto esempio di come il rock potrebbe e dovrebbe essere, propositivo, innovativo e artistico anche quando si rivolge al grande pubblico, e un omaggio anche alle vecchie glorie del rock britannico, alcune perdute e altre ancora lì, ricordando i tempi in cui «the Earth belonged to them».
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