Già che questo disco esca decisamente in anticipo (2002) rispetto all'avvento dell'ormai floridissima scena indie italiana la dice lunga: certamente i Jennifer Gentle hanno avuto l'indubbio pregio di essere stati un caso a parte rispetto a ciò che in Italia era (e tuttora è) comunemente noto come "alternativo". Il fatto che Fasolo suoni e canti come Barrett in questo disco non è da prendere come semplice revival: in primis perchè a suo modo ha anticipato di qualche anno la riscoperta del "naif" che si è espansa a buona parte delle proposte indipendenti americane di oggi, in seconda perchè al di là delle apparenze questo non è un disco di revival: è più che altro un omaggio che ha il coraggio (e forse la spudoratezza) di essere così tanto esplicito da non suonare esteticamente disonesto.
E d'altronde i Jennifer Gentle non sono immemori della lezione di alcuni psichedelici degli anni '90, in primis i Dogbowl, da cui ricavano la tendenza ad impastare le canzoni di miriadi di riferimenti sonori, spesso orchestrali, in cui affogare le loro nenie altalenanti. è per questo che le melodie suonano fascinose, a tratti pure geniali: non sono più il baricentro del pezzo, ma una sorta di appiglio al caos imperante, una sfuggente àncora per resistere al travolgerti di suoni percettivamente inafferrabili.. E' un aggiornamento della psichedelica in perfetto stile anni 2000, e si avvicina molto di più ai turbolenti affreschi pseudo Zappiani di Ariel Pink che non direttamente a "The Piper..". Forse l'intuizione dei Jennifer Gentle non è cosi difficile, e non particolarmente avanzato è il loro sforzo creativo, però riescono davvero a vivere di luce propria, più oscuri, forse più inquietanti, in un tributo al caos che di fatto è la loro vera anima.
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