Tredici lunghissimi anni, questa è la distanza cronologica che separa "The Hunter" del 1992 da "Shot Through The Heart" del 1979, ma tuttavia gli anni '80 sono stati un periodo molto felice e fecondo per la (anti)diva del Pop Jennifer Warnes; oltre alle celeberrime "Up Where We Belong" e "Time Of My Life", che le garantiscono due grandi hit internazionali il suo rapporto con Leonard Cohen si fa sempre più stretto: rimangono scolpiti nei cuori di tutti gli ammiratori del grandissimo cantautore canadese i duetti di "Night Comes On" ed "If It Be Your Will", tra le gemme più preziose di "Various Positions", poi nel 1987 un capolavoro di arte interpretativa come "Famous Blue Raincoat", che Cohen utilizza quasi come cassa di risonanza per il suo nuovo album, "I'm Your Man" del 1988 affidando a Jenny "First We Take Manhattan" e "Ain't No Cure For Love", oltre ad un duetto mozzafiato sulle note di "Joan Of Arc", un inedito d spessore come "Song Of Bernadette" ed altre interpretazioni da brividi come "Coming Back To You", "A Singer Must Die" e "Came So Far For Beauty"; cinque anni dopo Jennifer Warnes torna a camminare con le sue gambe e lo fa con un album particolare, ricco di influenze, stili e sfaccettature, "The Hunter".

Balza subito all'occhio una copertina bellissima ed elegante, e l'eleganza è uno dei tratti caratteristici di Jennifer Warnes e, ancor più specificamente, di "The Hunter": l'album, pubblicato dalla Private Music, presenta una forte connotazione "nera": del tutto calzante per il timbro cristallino, potente e sensuale della cantante, che non ha assolutamente nulla da invidiare alle più note e celebrate dive della black music: in episodi come "Rock You Gently" e "True Emotion" Jenny propone un semplice, coinvolgente ed elegante pop venato di soul con grandissima qualità e cura negli arrangiamenti, "Somewhere, Somebody" di Max Carl subisce una metamorfosi: da semi-ballad pop rock diventa una soffice parata di ovattati ritmi R'n'B che esalta il lato più sensuale della voce di Jennifer Warnes, che nell'epico swing di "Big Noise, New York", firmata da Donald Fagen mette in mostra capacità interpretative veramente fuori dal comune, conferendo un'anima viva e pulsante, un flusso straripante di stati d'animo ad una canzone già grande di per sé, che cantata in questo modo diventa un capolavoro. Che Jennifer Warnes fosse un'interprete divina già lo si sapeva, e questo concetto viene ribadito con forza anche in "Pretending To Care" di Todd Rundgren, in cui la sua voce potente ed accorata sembra quasi dialogare con il pianoforte, in un climax di eleganza e comunicatività che arriva quasi a ricordare l'inconfondibile stile della Joni Mitchell di "Ladies Of The Canyon" e "Blue" riletto in chiave più pop e in "The Whole Of The Moon" dei Waterboys che viene rimodellata su sonorità più rock che esaltano la limpidezza e il trasporto della voce di Jenny.

Ma "The Hunter" è più di un semplice album di cover perfettamente interpretate, in questo disco Jennifer Warnes esprime il massimo delle sue capacità di songwriting, che si erano già abbondantemente intraviste in "Shot Through The Heart" e che qui vengono straordinariamente affinate: tutti gli inediti di "The Hunter" sono scritti o co-scritti dalla cantante e, oltre alle già citate "Rock You Gently" e "True Emotion" si tratta degli episodi migliori dell'album: "Way Down Deep", una sofficissima canzone d'amore splendidamente minimale in cui ritmi tribali incontrano un intermezzo di cornamuse scozzesi; un capolavoro di arrangiamento in cui la voce della cantante risuona echeggiante in tutta la sua vellutata sensualità interpretando un bellissimo testo regalatole, manco a dirlo, da Leonard Cohen: "Don't matter what we gave away was nothing we could keep, don't matter what we gave away you know the talk is cheap, forgive me if I hate you, you're a liar and a thief but I've got you in the glory place, I've got you way down deep", mentre "Lights Of Louisianne" è un walzer etereo e contemplativo, un deliquio di dolcezza folk accompagnato dalla fisarmonica di Van Dyke Parks che, abbinata ad una voce angelica (detesto questo aggettivo ma non c'è altro modo di descriverla) come quella di Jennifer dà vita ad un affresco di rara e struggente delicatezza, splendidamente poetico e sognante.

Le ultime due perle dell'album sono accreditate alla sola Jennifer Warnes che, baciata in fronte da un'inspirazione straordinaria regala una pezzo come "The Hunter", canzone d'amore vivace, trascinante e gioiosa, nonché perfetto esempio di Pop di altissima classe, operatic pop nella fattispecie, senza particolari vezzi sofisticati e baroccheggianti ma con tanta grinta ed entusiasmo, chiudendo infine con una soul-ballad mozzafiato, "I Can't Hide", in cui per l'ennesima volta dimostra di saper valorizzare al massimo quella voce pazzesca donatale da Madre Natura, in un meraviglioso congedo che suona quasi come un'affettuosa dedica, una dichiarazione d'amore rivolta ad ogni ascoltatore. In effetti, "The Hunter" è quasi un disco di congedo: il felicissimo rapporto con Leonard Cohen si chiude infatti in quell'anno, il 1992, e per Jenny seguirà un lungo periodo lontano dai riflettori. Seppur inferiore a "The Well", il testamento artistico nonché capolavoro definitivo di Jennifer Warnes "The Hunter" è un disco molto particolare, che riflette perfettamente, in tutte le sue peculiarità il carattere di questa dolce, piccola, grandissima popstar, ed a me piace pensare che "The Hunter" sia un esempio di quello che sarebbe potuto essere e dovrebbe essere il pop.

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