Chi è Jenny Wilson? Non c'è trucco e non c'è inganno, e l'inganno non sta nemmeno sotto il trucco pesante che caratterizza un po' tutte le apparizioni in pubblico di questa trentenne svedese. Proveniente da un gruppo indie (First Floor Power), Jenny ormai matura decide di intraprendere la sua prima vera esperienza solista (dopo una serie di collaborazioni fra cui spicca quella con The Knife) chiudendosi in studio, suonando e programmando, tutto da sola. Ne nasce un titolo, Amore e Gioventù, un po' dissonante forse con la maturità raggiunta dall'artista. Dissonanza che si dissolve se decidiamo di tradurlo con "sentimento e innovazione", "passione e freschezza", le prime sensazioni che si colgono ai primi ascolti. C'è infatti tutta la forza e l'energia necessaria in ogni singolo pezzo, c'è tutta la rabbia, il sentimento e la giusta dose di malizia a sottolineare che lei, Jenny, è pronta per affrontare il mondo, e per farlo da sola. Cura, come detto, ogni singolo pezzo per conto suo, suona tutti gli strumenti presenti e canta con una voce clamorosamente "normale", regolare, ma estremamente inquieta.

Arpa e un'insistente costruzione elettronica la sorreggono nel primo pezzo "Crazy Summer", un pezzo che inaugura con molta (troppa?) sofferenza un pezzo che il titolo avrebbe definito "leggero". La tematica estiva lascia i cori inquietanti dell'introduzione per riappropiarsi dei colori che la caratterizzano in "Summer time", con influenze afro quanto basta, ancora coretti, urletti e fischietti a rendere il tutto molto più concreto e spensierato. Segue il tormentone da discoteca (in Germania fa furore il remix dei Knife) "Let My Shoes Lead Me Forward", inchiodato alle atmosfere cotonate degli anni '80 e supportato da un ottimo video. Parla di regole da non rispettare Jenny, e la sua voce sempre tra l'afflitto e lo spavaldo sembra farci pensare alla svolta che ha imposto da poco tempo alla sua vita, una svolta di cui si prende giustamente tutto il merito. Per farci sapere, se ancora non l'avessimo capito, il suo amore per la lunghezza dei titoli dei suoi pezzi, Jenny inserisce in questo album un'ottima "Bitter? No I Just Have To Complain". Una domanda e la pronta risposta negativa, a riprova di quanto detto poco fa, della sua voglia di far sapere al mondo che è pronta, che il peggio è alle spalle. Sale la tensione con "Would I Play With My Band", carillon, chitarra sommessa e loop elettronici a consacrare la dolcezza della sua voce, quasi piagnucolante a tratti, come se non ce la facesse a reggere un peso. Ma pronti i cori la sostengono anche qui a rendere questo pezzo il più delicato e pregiato del disco.

Ancora un bell'episodio con la title-track, molto folk, molto decisa e spumeggiante, per giungere ad un finale in cui spiccano la (finta) cattiva "Hey What's The Matter?" (ancora una domanda) e la meravigliosa chiusa rappresentata da "A Brief Story", a sottolineare forse il fatto che tutto quello che Jenny ci ha raccontato in questo disco è solo la sua breve storia, alla quale molte altre pagine devono essere aggiunte. Non a caso infatti questa ultima canzone, non ha per nulla le sembianze di una canzone che possa chiudere un album: che Jenny abbia volutamente invertire la prima e l'ultima traccia proprio per dimostrare che la tensione è vinta e che le resta solo la spensieratezza del racconto della propria storia?

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