Are you ready for the crazy race?

 

Quello che mi accingo a recensire non è un capolavoro della cinematografia mondiale, né un grande kolossal, tantomeno una trasposizione su pellicola di grandi eventi storici. "Rat Race" è un comico, frivolo blockbuster americano, spassoso ed irriverente, in parte a causa del notevole gruppetto di stelle del cinema, quali Whoopi Goldberg, Rowan Atkinson e Kathy Bates, altresì per la moltiplicazione della carica umoristica dovuta alle peripezie dei singoli "contendenti".

Donald Sinclair, eccentrico e facoltoso proprietario di un casinò a Las Vegas, decide di montare, assieme ad altri spocchiosi amici, una sorta di "gioco" nel quale inserire dei comuni mortali, mediocri, viziosi, privi di grandi ricchezze, annoiati, un campione di stereotipi dell'odierna società americana. Il gioco, anzi, la competizione, consiste nel raggiungere con ogni mezzo la città di Silver City, in Nuovo Messico, presso la cui stazione ferroviaria sono custoditi due milioni di dollari in banconote di grosso taglio. I partecipanti, paragonabili a burattini da inserire nel loro individuale teatro, vengono selezionati senza criteri particolarmente meritocratici: chi, utilizzando le slot - machines del Casinò, vince un bizzarro gettone, sarà a tutti gli effetti legittimato a concorrere per la posta in palio.

Le "pedine" gareggianti rappresentano al 100% l'Americano medio: vi sono i furfantelli Duan e Blaine Cody, versione imbastardita di Stanlio e Ollio (l'uno rigoroso e razionale, l'altro tonto e incapace), il narcolettico Henry McCollions - Enrico Pollini nella versione originale -  (Rowan Atkinson), l'avvocato precisino, onesto e pudico (almeno in apparenza) Nick Shaffer, affiancato durante la "maratona" dalla stralunata elicotterista Tracy Faucet, e la signora credulona e bonaria Vera Baker (Whoopi Goldberg) che, presso il citato Casinò, deve incontrare per la prima volta nella sua vita la figlia-imprenditrice Merrill Jennings, frutto di una svista giovanile. Partecipano pure l'arbitro fallito, Owen Templeton, il quale ha concluso (prima che cominciasse) una partita di football poiché non era certo l'esito del lancio della moneta utilizzata per l'estrazione della squadra prima ad attaccare, nonché la sgangherata famiglia di  Randy Pear, ebreo oppresso dall'incorruttibile moglie e dai due irritanti mocciosetti.

Pervenuti insieme a Silver City dopo una mirabolante serie di peripezie, i personaggi si lasciano sfuggire il malloppo che, "volando" (!!!), giunge sul palco di un concerto di beneficienza animato dagli Smash Mouth. Di fronte a bambini da aiutare, i due milioni di dollari vengono donati, assieme a gran parte delle ricchezze private di Donald Sinclair, elargizione annunciata in presa diretta dall'avvocato Shaffer come vendetta per aver abusato della buona fede di questi "racers".

Semplice, senza troppi fronzoli e troppe pretese, il lungometraggio mostra appieno la tecnica umoristica statunitense, stravagante, simpatica, a volte grottesca (mai quanto i nostri cinepanettoni, tuttavia). Essa intende concentrarsi nel cuore del film, nel bel mezzo dei singoli pasticci attuati dai contendenti, quasi a sottolineare come la brama di denaro porti a cotanta baraonda: esilaranti sono i tentativi di depistaggio altrui attuati dai fratelli Cody, nonostante i bersagli dei loro innumerevoli casini siano -involontariamente- loro stessi (penetrano senza volerlo in un circuito di Monster Truck, entrano in colluttazione con bovini vari in una prateria), le disgrazie dell'arbitro Templeton che, abbandonato in pieno deserto da un tassista che l'ha riconosciuto, tenta di raggiungere Silver City spacciandosi da autista di un pullman di spaventose signore dirette alla convention di I Love Lucy a Santa Fe, come pure le disavventure della famiglia Pear, fermatasi presso un Museo di Klaus Barbie, e decisa a depredare la vettura turistica di Hitler una volta appreso che le ruote del loro furgone sono state sgonfiate dai fratelli Cody. Da citare la presenza di Kathy Bates in quanto stramba venditrice di scoiattoli nonchè ingannatrice nei confronti di Vera e della figlia Merrill.

Il messaggio del film risulta quasi banale: la felicità non è direttamente proporzionale alla quantità di denaro, il disonesto riccone che all'inizio se la spassa  ed alla fine viene umiliato... insomma, una semi-scontatezza morale che sposa la carica positiva di personaggi ridicoli, stereotipati e dai macroscopici vizi, strumento comico, forse trito e ritrito, comunque sempre efficace ed attuale.

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