Se c’è una cosa per cui Jessie Ware andrebbe ammirata, a prescindere da ciò che si pensa della sua musica, è la decisa sterzata che ha dato alla sua carriera e che l’ha portata a una vera e propria rinascita artistica che, ironicamente, è arrivata proprio con quello che secondo lei sarebbe dovuto essere il disco che ne avrebbe decretato la fine; e invece ecco che “What’s Your Pleasure?” non solo le ha consegnato il primo vero successo di pubblico dai tempi di “Devotion”, ma le ha pure fatto ottenere il favore della critica, che dopo due album accolti tiepidamente non ha esitato a incoronarla come una delle artiste più interessanti degli ultimi anni, oltre che autentica regina del revival che ha visto protagonista la disco music nel 2020.

Che sia stato un fuoco di paglia? Ma neanche per sogno! E infatti, tre anni dopo quel fortunato album, Jessie Ware non ha perso un briciolo dell’entusiasmo ritrovato e ci trasporta direttamente nel secondo capitolo della sua nuova vita musicale con “That! Feels Good!”, che oltre a un’operazione commerciale consapevole (lei stessa ha capito che il suo pubblico da lei si aspetta dischi di questo tipo, non le raccolte di ballate per cuori infranti di “Tough Love” e “Glasshouse”) è a tutti gli effetti una dimostrazione di sincero rispetto e amore filologico per il genere che, in fin dei conti, l’aveva lanciata ai tempi dell’esordio. Il risultato di tale entusiasmo non è ai livelli di “What’s Your Pleasure?”, che è probabilmente stato scritto in un irripetibile stato di grazia, ma è comunque un disco divertente e sentito, in cui Ware decide saggiamente di non ripetersi e proseguire la sua personale scoperta della Disco music portando ulteriormente indietro le lancette del suo orologio musicale: se in precedenza a essere scandagliati dall’occhio della cantautrice erano gli anni Ottanta, ora si va dritti ai Settanta. Via, dunque, lo stuolo di sintetizzatori moroderiani e dentro fiati, archi e percussioni brasiliane, per una serie di arrangiamenti che riescono a essere pomposi e teatrali, ma mai sgradevoli o fuori posto, contribuendo anzi a restituire un senso di grandeur che l’ugola vellutata di Jessie padroneggia con classe ed eleganza. Esemplari, in questo senso, i singoli “Free Yourself” e “Begin Again”, con il primo che rilegge il periodo di riferimento in chiave Nu-disco e il secondo che azzecca uno dei ritornelli più indovinati della scaletta. Niente male anche “Pearls”, altro singolone in cui Ware si inerpica su vette vocali irraggiungibili su una base squisitamente Chic, e “Freak Me Now” (ancora più bello nella versione remix in compagnia di Róisín Murphy), che invece è un inno al French-touch d’annata, o ancora il funk brasiliano di “Beautiful People”. Insomma, Jessie non riesce a ritoccare le vette del suo precedente album, forse anche perché per noi ascoltatori l’effetto sorpresa è svanito proprio con lo stesso, ma risulta ancora ispirata, tanto che riesce pure a piazzarci una ballata, “Hello Love”, che non risulta affatto sgradita, anzi è probabilmente la canzone che avrebbe sempre voluto scrivere, ma che alla fine nei suoi primi lavori non si era mai vista; peccato solo che, forse nella gioia provata nel buttare giù un pezzo del genere, si sia fatta prendere la mano e abbia scritto anche “Lightning”, unico neo di una scaletta altrimenti perfetta e che peraltro non è nemmeno brutta, ma con il resto del disco c’entra davvero poco.

Fortuna che il finale è affidato a “These Lips”, altro numero da manuale che conclude un disco che convince e che dimostra che “What’s Your Pleasure?” non è stato un fuoco di paglia, ma il primo fondamentale tassello di un nuovo percorso artistico ed espressione di un potenziale che c’è sempre stato, ma ha tardato a concretizzarsi e che ora può esplodere in tutta la sua grinta trascinante e liberatoria. Detto in poche parole, la Disco music ha una nuova regina, e non sembra intenzionata ad andarsene tanto presto: pronti a farsi trascinare in pista?

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