La scorsa notte ho sognato di ritornare nella casa dove abitavo quando ero bambino. Ma tutte le cose erano cambiate, era tutto diverso. I soffitti erano crollati e le poche pareti rimaste in piedi erano ricoperte di muffa. Il divano dove da bambino guardavo alla televisione i vecchi film di Stanlio & Ollio era impolverato e ridotto a brandelli, tutti i mobili cadevano a pezzi, consumati dal tempo, e tutto puzzava di vecchio e di morte. Ho rivisto i fantasmi dei miei genitori e i loro volti svaniti e tutti i miei ricordi hanno preso vita e hanno preso a ruotare davanti ai miei occhi in un moto perpetuo e infinito, così come era la mia tristezza davanti alla fine di quella che era stata la mia vita passata e a quella scena drammatica.

Con tutta la merda che c’è in giro, ho più volte visto commettere delle vere atrocità nell’utilizzo dell’espressione post-metal. La verità è che, se proprio questo genere musicale deve esistere – e, credetemi, esiste sicuramente - allora un posto di riguardo tra gli inventori e i fautori di questo nuovo sound spetta di sicuro a Justin Broadrick, alias Jesu.

Quest’uomo, Justin Broadrick, è innegabilmente un genio e una delle poche menti veramente creative dell’attuale panorama musicale inglese. Se non bastasse il suo curriculum, che lo vede tra le altre cose già essere stato parte attiva nei Napalm Death e soprattutto nei grandissimi Goldflesh, tutte le sue produzioni con i Jesu stanno a dimostrarne le innate capacità nel tracciare atmosfere decadenti e glaciali, nel sussurrare dolci sognanti melodie shoegaze e nel dare vita a sonorità psichedeliche e ipnotiche; mai sazie di tutti i sentimenti che popolano la mia e la vostra anima.

Il suo ultimo lavoro, “Infinity”, è un dirompente capolavoro di architettura sonora post-metal e shoegaze. Una magnificente opera d’arte di circa cinquanta minuti, un infinito viaggio nella sua musica e dentro noi stessi, al termine del quale non possiamo che ritrovarci estraniati e teletrasportati in una nuova dimensione che trascende il concetto stesso di spazio e di tempo.

Ascolto “Infinity” e vedo le onde del mare d’inverno che spazzano violentemente le spiagge di Ostia e si portano via tutti i miei ricordi. Sotto una fitta pioggia battente allora non posso fare altro che stringere i denti e provare a tenermeli stretti, in attesa che passi questa tempesta e che tutte le cose riprendano il loro corso.

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