Nel 1993 si celebra il quarto di secolo dell'attività dei Jethro Tull, e questi ultimi, non paghi di aver pubblicato il celebrativo 20 Years Of Jethro Tull soltanto 5 anni prima, per la ricorrenza danno alle stampe il 25th Anniversary 4CD Box Set. Bello il layout: il Box Set è rettangolare, con sigillo a finta banconota Tulliana sull'apertura, che ahimè bisogna danneggiare per svelare il contenuto del malloppone. Aprendolo si scorge subito il gigantesco booklet, su cui compare una foto di flauti marroni scuri in fila che ricordano sigari, con sigilli che formano la scritta Jethro 25 Tull. L'idea è molto originale, infatti spesso questo Box Set viene chiamato dai fan "Cigar Box"; è infine corredato da foto inedite e non, vecchi articoli di giornale e storia approfondita della band, il tutto in ben 47 pagine.

In ogni box set che degno di esser chiamato tale, è immancabile il disco di raccolta, il succo principale di ciò che una storica band è riuscita a creare nel corso degli anni della carriera. Ed è retrospettivo proprio il primo Cd del 25th Anniversary, in cui si rispolverano i grandi successi, dai più vecchi ai più recenti, ma in modo molto più interessante: in versione remix!!!! Difatti si intitola semplicemente "Remixed Classic Songs". Inserendo il disco nel lettore parte dunque una potente My Sunday Feeling, i cui suoni sembrano più nitidi, riuscendo comunque a conservare quel suono vintage che tanto sa affascinare. Stessa cosa per A Song For Jeffrey. Ascoltando lo storico intro di basso di Living In The Past, quasi non si sente un cambiamento, ma più tardi nel brano si sente un'interessante variazione delle percussioni, soprattutto sui suoni dei piatti, appositamente rimarcati. Totalmente diversa invece è Teacher, che perde un po' della propria unicità, acquistando un'eco nel cantato ed un riverbero nella chitarra elettrica di Martin Barre: nonostante questo marcante cambiamento, il pezzo non perde la propria potenza. Come la precedente, anche nella melodrammatica Sweet Dreams si sente subito la differenza: il pezzo risulta meno pieno, svuotato dei bassi e riempito dalla chitarra acustica e dai fiati, il cui suono è ancor più enfatizzato. Più austera invece è Cross Eyed-Mary, uno dei pezzi più aggressivi di sempre dei Tull, resa ancora più cattiva dalla voce filtrata, rendendo le note complici e maligne tra loro. L'aggressività lascia poi il posto a intermezzi più tranquilli, che riescono sempre a far sognare e trasportarti altrove: questo è il caso di The Witch's Promise e Life's A Long Song, fantastici pezzi di pura poesia accompagnata da chitarre acustiche che fanno da tocco finale all'opera. Bungle In The Jungle è genialmente bella anche in questa versione, molto meno curata e raffinata dell'originale, ma piena di fascino. I due capolavori Minstrel In The Gallery e Cold Wind To Valhalla rimangono sostanzialmente uguali, mentre Too Old Too Rock'n'Roll Too Young Too Die presenta la chitarra un po' diversa nell'intro. Orrendo il remix di Songs From The Wood, dove i cori non sono più gli stessi, e dove una chitarra acustica ri-registrata rovina l'atmosfera del pezzo. Il sound di Heavy Horses sembra uscito da una classifica anni '80, con una batteria che risulta quasi campionata...molto meglio l'originale! L'intro di tastiera di Black Sunday è stato sostituito da un gran pezzo di basso molto simile. La canzone rimane bellissima, anche se la voce è doppiata. Il primo disco finisce con Broadsword, con un flenger di tastiera che prima mancava, e con una lieve differenza nelle percussioni. Sostanzialmente questi remix sono stati eseguiti tecnicamente bene, ma si nota una diversità quasi fredda, a testimonianza che la tecnologia non riesce a migliorare ciò che l'estro crea. E l'ascolto lo conferma.

Con "Carnegie Hall, N.Y. Recorded Live New York City 1970" inizia la goduria, la crema, lo sbarluccichio della "Golden Age". Ma prima un piccolo passo indietro. Ricordate Living In The Past, datato 1972? Bene, su quel disco c'erano due registrazioni live: Dharma For One, in una nuova entusiasmante veste per l'assolo di Clive Bunker, e By Kind Permission Of, il suggestivo e classicheggiante pezzo per tastiera firmato John Evans. Il secondo disco del Box Set offre il resto di questa registrazione dal vivo, nella formazione da tutti definita classica, ovvero Anderson, Barre, Cornick, Bunker ed Evans. I nostri, durante il tour di Benefit, suonano il 4 Novembre 1970 al Canegie Hall di New York per una serata di beneficenza, i cui incassi saranno interamente devoluti al Phoenix House, una società di recupero per tossicodipendenti. Nothing Is Easy è il grande pezzo di apertura del magico show, con una bella parte di organo suonata da John Evans e gli spettacolari finti finali. Che energia trasmette questo pezzo, è quasi meglio qui che su Stand Up! Poi My God, chitarrone acustico su cui Ian esercitava il suo tocco unico, voce perfetta, e soprattutto quel flauto, con quelle due straordinarie improvvisazioni in mezzo, dove la pazzia e il genio di Ian danno sfogo in tutto l'estro e la maestria possibili. Nuova veste per With You There To Help Me, con una bellissima parte di tastiere, con piccola steccata di Evans che ci sta dentro, a fare da supporto al flauto e poi via con il magico cantato di benefitiana memoria, con esplosione nel ritornello. Ritorno alle origini con A Song For Jeffrey, anche qui l'ovazione è d'obbligo. To Cry You A Song graffia letteralmente, con il riff tagliente che Martin Lancelot Barre esegue con particolare cattiveria. Sossity, You're A Woman è il momento più introspettivo, in cui appare incredibile come lo zio Ian riesca a suonare l'acustica e a cantare insieme. Reasons for waiting è un altro grande momento di passione, così come anche We used To Know strappa quasi le lacrime. E poi il mitico Guitar Solo di Martin Barre, dove il nostro caro zio Martino si diverte, con varie reminiscenze hendrixiane. Pur non essendo mai stato un chitarrista annoverato fra gli eccelsi, il nostro quando pesta lo fa a dovere. Anche senza di lui i Jethro non sarebbero stati i Jethro. Finalone con For A Thousand Mothers: Glenn Cornick percuote il basso come un matto, Clive Bunker è incontenibile, Ian Anderson è fuori come balcone, Martin Barre fa scintille e John Evans offre le sue solite basi aggiuntive di tastiera. Stupefacente, e basta! In questo live arriva dunque a compimento ciò che per molti fan ha oramai rappresentato una frustrazione per ben 21 anni: si completa qui l'ottima testimonianza della grande forma in cui versava la band, nella formazione più apprezzata dai più accaniti fan della prima ora.

Mi tocca insomma questo terzo ellepì dal simpatico nomignolo di "The Beacons Bottom Tapes", dal nome degli studi in cui i Jethro Tull elaborarono tutto ‘sto popo' (?) di roba nel mese decimo primo del 1992; diciamo che i tre fantastici compari hanno rifilato questo "coso" alla "Cosa", notoriamente il più sarcastico del gruppo. En bien: successe che Ian ebbe la masochistica idea di rivestire d'un tocco di modernità alcuni dei successi del suo gruppo per offrire qualcosa di diverso ai suoi fan. Lo zio Martino capì subito che l'insidia del risibile fosse ad un tiro di schioppo, ma il bardo di Blackpool fu irremovibile; tempo dopo, ai microfoni, il buon Lancillotto confesserà questa sua ritrosia, ma ormai la pseudo-frittata era fatta. Una frittata col fondo della pancetta, per giunta. Per la verità, apre un inedito (l'unico dell'intero cofanetto): So Much Trouble è un bluesettino senza pretese, non ispiratissimo, ma tant'è: così tanti problemi al mondo, perché non crearne di nuovi? My Sunday Feeling è suonata molto bene, con un gran basso a farla da padrona, ma la voce di Ian è purtroppo il limite del folletto degli ultimi lustri; diciamo tuttavia che per ora il gioco regge. Altro sortita d'esordio, Someday The Sun Won't Shine For You raccoglie anch'essa qualche frutto, mantenendosi quantomeno fedele all'originale. Nulla insomma lascia presagire il crollo, sebbene la seguente e strafamosa Living In The Past cada lievemente nel manierismo, con un'armonica onnipresente ed un arrangiamento da Walker Texas Ranger (ma si sa che Ian Anderson all'epoca era uguale a Chuck Norris, del resto). Eppure, il crollo c'è: improvviso, irrevocabile. La Bourèe parte inconfondibile, ma subito si dirama in un volo pindarico di flauto (quello sì, superlativo!) mal ancorato dall'orchestrina per banchetti nuziali che serpeggia tra i fori del piffero; ma è ancora niente: With You There To Help Me parte irriconoscibile. Lenta, infarcita di mandolinate, molle: se non fosse per le stoccate del buon Martino a darle spessore sarebbe una canzone qualunque (il che è una cosa pesante da dire per un brano del genere). Riuscirà la originalmente strepitosa Thick As A Brick a riportare a galla l'intrepido Ian? No: il medley da 8 minuti è lui, è il solito brano, ma non riesce ad incantare, vuoi perché l'organetto da coro Gospel non è la tastiera di John Evan, vuoi perché la voce è un'altra, vuoi perché i sospiri alla Marc Bolan Ian proprio non li sa fare. Simpatica "Cheerio" (assieme all'inedito l'unica non registrata nella pancetta) con le sue allegre schitarrate molto country. Simpatica e nulla più. A New Day Yesterday è allungata insensatamente ad otto minuti otto: suonata benissimo, ma non serviva dimostrarlo. La strumentale Protect And Survive, a smentirmi, regala qualche emozione in più, così come quella Jack-A-Lynn in cui sfuma e che in originale è troppo stupenda per poterne fare uno scempio. Scempio che peraltro e purtroppo non tarda: signore e signori, i Pooh in The Whistler. Non aggiungo altro, se non l'ennesima lode al Martin Salvator. Ecco, ora mi prende lo sconforto, se penso che i due brani conclusivi sono pilastri della musica mondiale. My God, brividi. Quella voce però da brividi non è, non del tutto, almeno; eppure il brano, seppure allungato di un inutilissimo intermezzo da cabaret, non infama il capolavoro che fu. Non così, purtroppo, Aqualung: la sofferenza del clochard assume a caricatura e, per quanto di ottima fattura, dimostra che 22 anni sono comunque tanti anche per un gioiello. Non un'enormità, ma sufficienti per crearne un degno coronamento ad una mezza ciofeca. Fortuna che adoro i Jethro Tull, va...

"Pot Pourri - Live Across The World & Through The Years", l'ultimo capitolo del box-set, è dedicato alle gesta dal vivo del menestrello Ian Anderson e dei suoi soci. Il disco, dalle indubbie qualità generali, si presenta tuttavia piuttosto disomogeneo, in quanto mischia (seppur in ordine cronologico) concerti che partono dal lontano 1969 e giungono fino al relativamente recente 1992... nonostante ciò, è sempre un «bell'ascoltare»! Si parte subito, per la felicità dei fan, con due inediti: sono To Be Sad Is A Mad Way To Be e Back To The Family (Stoccolma, 1969)... due brani di torrido blues-rock che mostrano l'anima dei primissimi Tull, dove la leadership, ora ben definita, era appena reduce dalla contesa tra Anderson stesso e Mick Abrahams. Si prosegue con un estratto di A Passion Play (Parigi, 1975): la versione qui presentata, impreziosita da una performance a dir poco infuocata di Martin Barre, ci presenta chiaramente le vere potenzialità del tanto criticato successore di Thick As A Brick... potenzialità purtroppo offuscate da un pesantissimo iper-arrangiamento in studio. Continuando l'ascolto giungiamo al vigoroso medley Wind-Up / Locomotive Breath / Land Of Hope And Glory (Londra, 1977), spesso utilizzato come chiusura per i concerti del tour di Songs From The Wood. Giro di boa del disco... e giro di boa della carriera Tulliana: entriamo negli anni '80. Seal Driver (Amburgo, 1982) è un brano di solido hard-rock estratto dall'ottimo The Broadsword And The Beast... mentre Nobody's Car (in una versione nettamente superiore alla controparte in studio) e Pussy Willow (Londra, 1984) sono tratte dal tour di Under Wraps. Le rimanenti tracce risalgono agli anni '90. Dalla tournee del 1991 vengono immortalati il nuovo classico Budapest, l'anziana Nothing Is Easy, Kissing Willi" e l'atipica (ricorda vagamente le sonorità di Santana) Still Lovin' You Tonight... Questi quattro brani mostrano come, da un album mediocre come Catfish Rising, possano uscire delle performance veramente di prim'ordine. Ci avviamo alla conclusione con gli estratti delle tappe nord-americane del '92, che testimoniano il viraggio verso sonorità orientaleggianti... sonorità che troveremo tre anni più tardi nel piacevole Roots To Branches. Possiamo così ascoltare la fresca Beggar's Farm... alla quale seguono una reinterpretazione in chiave moderna di A Passion Play (intitolata spiritosamente A Passion Jig), l'arcinota Song For Jeffrey ed, infine, una versione rimaneggiata di Living In The Past.

Si chiude così un cofanetto degno di tale nome, anche se non all'altezza del suo predecessore uscito 5 anni prima. Le inedite scarseggiano, poiché le più interessanti saranno pubblicate sul doppio Nightcap, uscito lo stesso anno, e alcune canzoni si trovano doppie se non addirittura triple nella totalità dei 4 Cd. Tuttavia un buon prodotto, più adatto ad un esperto conoscitore della band che non ad un totale profano.

(Recensione scritta in ordine di apparizione da Shooting Star, The Green Manalishi, Pibroch e Roby86)

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