Tu-tum... Tu-tum... Tu-tum... Il cuore batte, dentro di me e negli altoparlanti.

È un crescendo di emozioni: le tastiere di Evan e la batteria di Barlow; lo stupendo basso di Jeffrey Hammond. La chitarra di Barre. Ed i fiati di Ian Anderson. "Do you steel see me even here ?" chiede il Flauto magico, ed ecco la sua splendida voce portare avanti su arrangiamenti superbi la prima parte del concept, "into the ever Passion Play".

È il 1973. Lasciato alle spalle il capolavoro/parodia progressive "Thick As A Brick", i Jethro Tull ci riprovano, e questa volta con intenzioni sono serie, per alcuni troppo. Ne esce un'altro concept, due suites in realtà unite, come ben si evince (??) dalla rimasterizzazione su cd della Chrysalis (da non perdere il video girato per "Top Of The Pops", all'epoca signor programma). Il risultato lascia sconcertati molti fan della prima ora: la rilettura in profumo teatrale della storia dell'uomo, tra religione e metafore, non convince i più, che giudicano l'album sicuramente ben suonato ma troppo serio e serioso, pomposo, addirittura fuori portata per la band inglese. Altri vi vedono i sintomi evidenti della degenerazione del progressive, la cui pretenziosità conduce ormai a noiosi e lunghi impasti sonori triti e ritriti. Per la stampa è la rottura definitiva dei rapporti già tesi con i 5. Sembrerebbe un disastro...

E invece l'album in America ha molto successo, e in Europa lo zoccolo duro dei fans elegge questo mosaico sonoro impressionante a capolavoro della band, osannato quasi al pari del meno controverso predecessore. O si ama o si odia, insomma, come l'aglio. Io lo amo. Intanto, si segnala, oltre alla bellissima copertina in bianco e nero, il libretto, in cui è ricostruito il programma di uno spettacolo teatrale dove gli attori sono gli alter-ego dei musicisti del gruppo. Musicalmente, la grande vena del flautista di Blackpool (qui spesso alle prese con il sax) è espressa dalla sua voce meravigliosa (perdonate questo panegirico), miglior sunto possibile dell'istrionismo di Gabriel, della potenza di Hammill, dell'intonazione di Jon Anderson e della melodia di Richard Synclair. Gli altri membri non sono da meno, e costruiscono intricati disegni e melodie avvolgenti, nonché splendidi tappeti agli assoli di flauto, marchio di fabbrica del gruppo. La prima parte scorre veloce, con la ripresa più volte del tema cardine ed un testo che non mi metto neppure ad interpretare, talmente è denso di metafore e di modi di dire (e poi non ne sarei in grado!!). La seconda comincia con un siparietto di 5 minuti circa... Hammond interpreta molto bene una favola, "The Story Of The Hare Who Lost His Spectacles", sorretto da un accompagnamento molto cabarettistico... l'occhiale perso dalla lepre è una metafora sulla religione, ed il testo è pieno zeppo di giochi di parole (per esempio Kangaroo-Can guru) a complicare ancor più le cose...
Tra l'altro, è proprio questa favola l'argomento del video, con le famose ballerine. Al termine del siparietto, torna il tema dell'uomo, per "The End", culminante in un bellissimo tema chitarristico che precede il ritorno del tema principale (ecco, unico difetto, a mio vedere, il finale, un po' confuso...).

Tu-tum... Tu-tum... Tu-tum...
Ora posso tirare il fiato. Bellissimo. Perdonate se mi sono dilungato troppo... sono tutt'altro che un recensista provetto, però ho lasciato parlare il cuore. E se secondo qualcuno son stato prolisso, amen. Vorrà dire che sono prog anch'io.

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