Venne il momento di dare un seguito al bellissimo "Songs From The Wood", ed i Jethro Tull decisero di continuare per la strada appena intrapressa. Nel 1978 uscì "Heavy Horses", dalla forte ossatura folk, in cui divampano sprazzi dell'hard rock tipico della band e spruzzate acustiche degne degli anni migliori. Forse un pelino sotto al predecessore, è tuttavia un lavoro bellissimo e molto ricco.
La prima traccia, "...And The Mouse Never Sleeps", è caratterizzata da un riff flautistico molto efficace e da un ritmo molto serrato culminante in un coro ossessivo. Un colpo di tosse, ed ecco aprirsi la verde Inghilterra, in tutti i suoi spazi rurali: il mandolino di Ian Anderson ci accompagna in "Acres Wild", in cui il cantante esprime la sua sensazione di "onnipotenza" ("I'll make love to you in all good places"), un concetto che già compariva in "Minstrel In The Gallery", nella conclusiva "Grace".
Altro cambio di registro per quella che forse è la canzone più dura dell'opera, "No Lullaby": la chitarra di Barre rende molto bene lo stato di agitazione del testo... "Keep your eyes open"! Segue un trittico molto eterogeneo, di rara qualità: la bellissima "Moths", con flauto e chitarra molto incisivi; "Journeyman", un brano Tulliano a tutti gli effetti, lineare e meno immediato del precedente, ma di gran fascino (in evidenza il basso di Glascock); "Rover", più orecchiabile ed ironico.
Dopo la papera bianca, il nostro ci regala il topo marrone. E che topo!! "One Brown Mouse" è tra le migliori tracce dell'ellepì, di grande bellezza campagnola, le tastiere di Evan ed un cantato a mio parere bellissimo. Degno preludio a quel che verrà. "Heavy Horses", la title-track, si apre con l'ennessimo riff indovinato da Barre e dirompe in una stupenda e poetica dialettica voce-piano, fino al possente ritornello ("Heavy horses, move the land under me"). Quindi un'apertura violinistica (l'ospite è Darryl Way, già, o forse ancora, non lo so, dei Curved Air) da brividi e via verso il gran finale. Fantastica. Chiude "Weathercock", bellissima nel suo arrangiamento (importante l'apporto del sesto Tull, David Palmer, all'epoca ancora uomo) e nel suo incedere guidato dalla batteria del bravo Barlow.
So di non essermi addentrato granché nei temi dell'album, ma ritengo sinceramente di non esserne in grado, l'inglese di Anderson non è certo il mio. Chiudo con un consiglio: se decidete di comprare questo gioiello, buttatevi sull'edizione rimasterizzata, con le due bonis-tracks, "Living In These Hard Times" (uno dei testi più complicati della storia: "Tu sai cosa ti piace, e ti piace ciò che sai: ma non c'è marmellata per il tè"... wow!!) e soprattutto la assurdamente bella "Broadford Bazaar", acustica e con un piffero che è tutto un brivido.
Grandi Tull, come sempre.
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