Orbene... dunque, è la prima recensione che scrivo, quindi perdonate se non sarà proprio perfetta.

È il 1977, e mentre nel mondo ormai orfano del fenomeno progressivo dilaga il punk, la band di Ian Anderson esce da un tormentato periodo, costellato di bellissimi lavori sottovalutati ("Minstrel In The Gallery") ed opere un po’ più sottotono: rapporti tesissimi con la stampa, malumori… non pare certo un clima produttivo. E invece i Jethro Tull pubblicano un lavoro fresco ed originale che li riporta ai vertici della popolarità: “Songs From The Wood”. Legato a sonorità folk, con venature hard rock, l’album si apre con l’attacco da brividi della splendida voce di Ian Anderson che introduce la title-track, caratterizzata da un perfetto intreccio dei singoli strumenti, in particolare il flauto del leader e le tastiere di John Evan. Si prosegue tra brani di sapore rustico (come “Ring Out Solstice Bells” o la bellissima “Jack In The Green”, cavallo di battaglia ancor’oggi), brani più lunghi e complessi (tutti musicalmente ineccepibili, su tutti “Velvet Green”) e piccoli gioielli folk (“The Whistler”) per giungere a quello che a mio avviso è il capolavoro dell’album, “Pibroch (Cap In Hand)”. La dura chitarra di Martin Barre introduce una danza pastorale che culmina in uno strepitoso assolo del flauto magico, quindi il ritorno al tema iniziale, ancora col potente riff del bravissimo chitarrista. Pelle d’oca per 8 minuti. L’opera termina con la bella “Fire At Midnight”, lasciando profonda soddisfazione nell’ascoltatore.

“Songs From The Wood” è un album solido, ben eseguito (completano la formazione lo sfortunato John Glascock al basso e Barriemore Barlow alla batteria) e senza alcun punto debole (il che non è poco). Io davvero lo consiglio caldamente, perché è uno dei migliori esempi della verve creativa di un gruppo che davvero ha dato molto alla storia della musica, non sempre ricambiato come davvero merita.

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