STILL LIFE.

La Cina attuale è un quadro indecifrabile. I suoi piedi sono contemporaneamente a cavallo di due sponde diverse: la prima è la vita antica di un tempo composta da contadini e operai, e sottomessa al faccione di Mao Tze Dong; l'altra è quella della "nuova era", della modernità dalla maschera capitalista, delle costruzioni a raffica e della tecnologia. Una formula decisamente particolare che le sta facendo guadagnare progressivamente grande importanza economica, sebbene a scapito dei diritti sociali e civili di milioni di persone. Insomma, il serpente dagli occhi a mandorla sta cambiando la pelle con un ritmo forsennato, a tratti decisamente incomprensibile. E il regista Jia Zhang-Ke ha voluto rappresentare a modo suo questa porzione di storia. La pellicola è in questi giorni al cinema.

STILL LIFE: natura morta.

Il film si svolge nella Cina più sperduta, nel dimenticato villaggio di Fengjie; qui giungono il minatore Han Sanming e l'infermiera Shen Hong. Il primo è alla ricerca di una donna che non vede da sedici anni. La seconda vuole rintracciare il marito scomparso due anni prima. Il paesaggio che si presenta loro è assolutamente surreale: antiche montagne bagnate da un grande fiume, sulle cui sponde respira un grigio villaggio-paese, formato da vecchi palazzi cadenti e nuovi in costruzione. Inoltre (il regista cita un problematico avvenimento che la Cina sta vivendo in tempo reale) sta nascendo una grande diga nelle immediate vicinanze, e molte case sono state o verranno presto sommerse. Gli abitanti del villaggio cercano di vivere come possono, principalmente svolgono il lavoro di operai addetti alle demolizioni; così Han Sanming trova un impiego momentaneo, e incontra le altre persone nelle pause del lavoro per scambiare due chiacchiere e fumare una sigaretta. Ma tutt'intorno il tempo sembra fluttuare in sordina, e la fusione di vecchio mondo (povertà estrema, degrado) e nuovo mondo (computer, cellulari) genera una strana alchimia, dalla quale si sparge una silenziosa atmosfera di sospensione. Dentro di essa, muti, brancolano Non-Uomini: sono proprio loro gli abitanti di questa spaventosa "favela" asiatica. Il bianco scolorito del cielo e la polvere delle macerie fanno da sfondo alle immagini e ai dialoghi appena accennati dei personaggi. I tempi sono rallentati all'estremo, la telecamera è fissa, spostandosi solo di poco per catturare paesaggi, oggetti, movimenti. Il regista si muove con approccio fortemente realista, filtrandolo però il tutto attraverso una lente surrealista e (passatemi il termine) "felliniana". Non mancano infatti scene di forte impatto e di inaspettata inventiva, piccoli capolavori sparsi qua e là che non starò a spiattellare. La cosa essenziale da comprendere è che questo è un film fatto di immagini, giocato costantemente sull'alternarsi di frammenti scoloriti; quindi un film non da vedere, ma da vivere. E voglio puntualizzare che il risultato è comunque fresco e gradevole, e la pellicola vola via leggera come una piuma, in punta di piedi. Di questi tempi, al cinema, incontri come questo sono moooooolto rari , ed io vi consiglio di sfruttarlo assolutamente; d'altronde sono quasi vent'anni che il cinema orientale sforna grandi lavori, candidandosi forse come il migliore in circolazione oggi.

STILL LIFE: ancora vita.

Alla fine della storia Han è pronto per ripartire: tornerà a fare il minatore nel suo villaggio: lì la paga era migliore, così saluta i compagni di lavoro con un brindisi e un'ultima fumata insieme. Le cose del resto vanno così: una porzione di vita arriva e subito dopo, in silenzio, finisce; e non guardatemi male quando dico che questa scena di gruppo rallentata mi fa balzare alla mente i "Mangiatori di patate" di Van Gogh, ovviamente in oriental-style. La sorpresa è che praticamente tutti i compagni di lavoro di Han si offrono di andare con lui, dopotutto guadagneranno più soldi; così essi s'incamminano con pochi bagagli verso l'attracco delle barche.

La scelta di questi uomini appare strana: non importa dove si andrà a stare, basta solo trovare una buona paga. Così tutto sembra incolore e scandito solamente dagli orari e dal lavoro; la differenza col mondo occidentale è che qui c'è ovunque un altissimo degrado, oltre ad una percezione del mondo assolutamente "parziale", misurata in termini di piccole distanze e di villaggi, non certo di nazioni. Ma è evidente che le loro sono scelte necessarie per la sopravvivenza, da fare a testa bassa, ed è assolutamente terribile come la loro anima sembri essersi dileguata via. Sono semplicemente persone-zombie che decidono di andare a Non-Vivere da un'altra parte. Camminando, lo sguardo di Han si sofferma su un' ipnotica scena in lontananza: un equilibrista che cammina sopra un filo sospeso tra due palazzi. E' quasi arrivato dall'altra parte, ma manca un'ultimo breve tratto. Forse ce l'avrebbe fatta. Han distoglie lo sguardo e riprende il cammino. Non vuole vedere come va a finire. In quei giorni la vita quasi non era esistita, ma forse c'era ancora una piccola speranza. Forse l'avrebbero incontrata ancora.

Carico i commenti...  con calma