L'esordio dello statunitense Jim Chappell, datato 1986, si potrebbe semplicemente definire un album di musica New Age. Ma questa etichetta come ogni etichetta può significare tutto e niente.

Si potrebbe definire musica da camera, inteso non come genere ma come definizione. E' il tipo di musica che vale la pena ascoltare nella propria camera, lasciandola fluire in sottofondo e senza porci più di tanto mente in un leggero stato di abbandono.

Jim chappell attraverso il suo pianoforte, con un piglio decisamente estraneo a qualsiasi virtuosismo, riesce in dieci tracce a regalare una vera e propria mostra di acquerelli melodici di rara bellezza e semplicità, in grado di andare dritti al cuore senza tanti complimenti a costo di sporgersi pericolosamente sul baratro del sentimentalismo e del patetismo. Senza mai cadere, però.

Questa è l'indubbia qualità di questo "Tender Ritual". Semplicità estrema senza cadere nella banalità. Linee melodiche convenzionali senza risultare già sentite. In questo magico equilibrismo, (a suo modo spericolato) risiede la forza delle 10 tracce di questo album. Non c'è altro a sostenerlo.

Chappell è come quegli artisti di strada che creano bolle di sapone. Quelle bolle sono così fragili che hai paura scoppino e svaniscano da un momento all'altro eppure l'abilità di quell'artista gli permette di modellarle, allungarle, persino di lanciarle e riprenderle sempre intatte.

Si prova un po' la stessa sensazione ascoltando "Tender Ritual": la materia è delicata, così delicata che sembra stia sul punto di scoppiare, svanire da un momento all'altro.

"Blue Racer"," Magic sleigh ride", "Sea Feeling", "free again", "Hangin' out" sono meravigliose, iridescenti bolle di sapone, che Chappell manipola abilmente dall'inizio alla fine conservando intatta la magia delle sue piccole composizioni.

E bravo Jim Chappell. Un esordio così vale una carriera; che poi hai avuto, lunga e soddisfacente, pur senza mai ripetere il miracolo di questo primo felice album. 

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