Nel 1986 avevo appena sette anni, e già il cinema di per sé, rappresentava per me bambino un luogo magico, una porta per luoghi lontani, uno sguardo sulle cose più incredibili che a quell'età mi era impossibile immaginare.
I Goblins che oggi mi appaiono come fantocci ridicoli, al tempo, mi impressionarono notevolmente. Solo il candore della dolce Jennifer Connelly (all'epoca appena adolescente), principessa della quotidianità, sospesa in un tempo indefinito, diventava in mezzo a tutti quei mostriciattoli, un'eroina che con il suo coraggio, scacciava le mie paure.
Il perfido (ma non troppo) Jarret, impersonato da un impareggiabile e mistico David Bowie, rappresentava per me un perfetto principe dell'oscurità, un trasformista efficace e stralunato, con la sinuosità di un corpo sottile e pungente, con quegli occhi aspri e spaventevoli, manovratore di una situazione all'apparenza incontrollabile.
Nel 1986 Labyrinth era solo una favola, piena di cose da vedere, musiche, mostriciattoli e volti deformi che si sedimentano nel cervello spugna di un bambino.
Più di venti anni dopo ho rivisto questo piccolo capolavoro sospeso nel tempo, rendendomi conto di centinaia di piccoli particolari che solo un adulto attento e motivato potrebbe notare.
Mi sono reso conto che la storia non è altro che una metafora per raccontare il passaggio travagliato di una giovane che attraversa la sua adolescenza, combatte contro la sua fantasia, la accantona per far spazio all'essere adulta. La sua camera è piena di balocchi che si ripetono nel film, simboleggiando il mondo fantastico che essa stessa era stata capace di crearsi. Il suo vivere spensierato nel duro mondo reale, che è in effetti rifiutato (lo si capisce dal suo monologo iniziale) è infarcito delle fantasie alimentate dai personaggi giocattolo che riempiono la sua stanza. Il suo mondo fantastico la sostiene e la estranea da una realtà amara (ma non troppo, si tratta solo di qualche conflitto adolescenziale).
Il labirinto è niente altro che metafora di un percorso difficile in cui ogni sua fantasia viene affrontata in modo definitivo, fino ad arrivare all'inevitabile traguardo, che culmina con un "passaggio di testimone" al fratellino: il tanto amato pupazzo Lancillotto, simbolo della sua infanzia, viene lasciato al bimbo con le parole "tu ne hai più bisogno di me".
Mi sono commosso incredibilmente, forse perché sono sprofondato nei teneri ricordi di una infanzia dolce, forse perché alla fine la protagonista sceglie (inevitabilmente) di crescere e mettere da parte tutti gli elementi chiave della sua infanzia, che rimarranno solo in caso di necessità.
I protagonisti sono meravigliosi, perfetti,
Per l'epoca poi, gli effetti speciali espressi sono di ottimo livello, ed il film porta benissimo tutti gli anni che ha.
La colonna sonora è naturalmente curata dal geniale Bowie, che produce fanfare deliziose ed opportune per il contesto. Cito per esempio "Magic Dance", che fa da sfondo all'esilarante balletto di Jarret, principe degli gnomi, coi suoi Goblin.
Regia di Jim Henson, prodotto da G.Lucas e Frank Oz.
Lo consiglio vivamente, sia a grandi che a piccini.
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