Film di Jarmusch del 2005 con Bill Murray protagonista. Nel cast compaiono, tra gli altri, Jessica Lange e Sharon Stone. Palma d'oro a Cannes.

In una esposizione lenta, cupa ed inespressiva, si consumano 96 minuti di difficile digeribilità. Il quasi decrepito e monofacciale Bill Murray ripete la sonnolente pratica dell'altrettanto oscuro film di Sofia Coppola "Lost in Traslation" lasciando allo spettatore più di qualche ragionevole dubbio. Assist di facile portata, estrarre dal titolo "Broken Flowers" il significato di rottura (di palle) dello spettatore e del muso (del protagonista) a cui l'insinuante e viscido strascicarsi da un posto all'altro senza apparente motivazione fa pensare ad un gesto di misera solitudine e demotivazione verso la vita, piuttosto che alla compiacente ricerca di un significato della stessa. Allo spettatore rimangono tante domande, ma come vuole la migliore tradizione critica, è bene che chi vede si metta a pensare sul "non detto" e si sforzi di leggere tra le righe. Operazione che a molti può risultare indigesta.

Se Jim Jarmush si diverte a spargere spunti pieni di sfumature un po' troppo oscure, descrivere il quadro con astuta superficialità per poi esporre in modo fin troppo costipante (emergono più dubbi che certezze), allo spettatore non rimane che mettere insieme una massiccia dose di indizi e sviluppare il senso del piacere filmico attraverso la chiave drammatica.

La cosa straniante è probabilmente questa: ci si aspetta un film nuovo ed allo stesso tempo con schemi di lettura all'americana. Dopotutto la pellicola è presentata come commedia ed il protagonista (Murray) è difficilmente accostabile (per una questione storica) all'inedia che ha imparato impeccabilmente a riproporre. Un po' come quando vedi Jim Carrey e ti aspetti un certo tipo di "aroma recitativo", ma non voglio mettere troppa carne al fuoco.

Non è una commedia, non ha un finale da film americano, non ha risvolti inaspettati o idee innovative, non ha colpi di reni, non ci sono colpi di scena. Si assiste ad un collage programmato ed eseguito, con 5 diverse reazioni, mai "un'uscita di strada" in senso squisitamente narrativo, mai una risposta. A fare collage, un elegante mazzo di fiori "recapitato" o idealmente da recapitare come chiave di accesso a vite che non sono parallele a quelle del personaggio. Eppure quest'uomo appare così rassegnato, apparentemente sicuro di se e fermo nelle proprie certezze, inamovibile e pago della propria esistenza che pare assurdo che una strana busta ed un vicino di cui non sapremo mai il perché di un simile interessamento nei suoi confronti, lo spingano in un percorso di poche tappe che lo trasformano (o fanno emergere) la natura disperata di un uomo solo ed incompleto che si accorge troppo tardi del vuoto che ha intorno.

Troppe le figure non approfondite. Un sacco di simbologie qua e la (Lolita, il gatto, la fitta vegetazione dove Murray si imabatte, il campo nel nulla dove si risveglia), miscugli di sogni, turbe e non-luoghi che incentivano il senso del vagare per il mondo alla ricerca di qualcosa.

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