Quando ho letto che sarebbe stata realizzata un'edizione rimasterizzata in digitale di "Down by Law" di Jim Jarmusch sono stato positivamente sorpreso, dato che nell'edizione VHS, acquistata qualche anno fa, la traccia sonora del film rivelava parecchie limitazioni. Speravo quindi in un miglioramento notevole della traccia audio nell'edizione in DVD. Sebbene un indubbio miglioramento dell'audio sia stato raggiunto, francamente, la rimasterizzazione ha un po' deluso le mie aspettative. Probabilmente, le condizioni della traccia audio originale non consentivano miglioramenti sostanziali e quindi anche il successivo remastering in digitale, non ha potuto produrre miracoli. Del resto immagino che un regista come Jarmusch, sebbene già noto all'epoca di realizzazione di "Down by law" (1986), non avesse ingenti mezzi finanziari a disposizione per curare ogni aspetto della produzione, oppure si è trattato addirittura di una sua scelta stilistica, come si può essere indotti a pensare alla luce di alcune considerazioni che farò nel seguito.
Ci tengo subito a precisare che, a mio modesto avviso, questa potrebbe rappresenta l'unica e tutto sommato trascurabile pecca, di un film (l'ottavo di Jarmusch in ordine cronologico) che nel suo complesso considero sublime, oltreché uno dei miei film preferiti in assoluto. Il titolo italiano è stato orribilmente scempiato in "dounbailò", ma tale scelta, del tutto opinabile, si lascia tutto sommato perdonare dal fatto che i produttori nostrani hanno fortunatamente deciso di mantenere il film in lingua originale sottotitolandolo e dandoci così modo di apprezzare e assaporare le performance originali dei tre protagonisti. Un film che, se dovessi inquadrare in un genere, definirei "borderline", cioè di frontiera. Situato com'è, al confine tra il genere drammatico, la commedia e il road movie, "Down by law" rappresenta un frammento di vita che tre personaggi (dalle personalità a loro volta "borderline") si trovano fortuitamente a condividere trovandosi a stare nello stretto spazio della stessa cella: un disc jokey fallito (Zack - Tom Waits), un magnaccia di mezza tacca (Jack - John Lurie) e un turista italiano strampalato (Roberto - Roberto Benigni).
Credo che la prima grande trovata di Jarmusch consista nella scelta dei protagonisti: tre istrioni attorno ai quali i ruoli del copione sono ritagliati in modo perfetto. Zack sembra una rappresentazione cinematografica del vero Tom Waits: come non rintracciare in Zack le caratteristiche dell'enterteiner-provocatore acuto e pungente autore di meravigliosi doni alla discografia contemporanea come "Swordfishtrombone", "Nighthawks at the Diner" o come "Rain Dogs" (da cui peraltro sono stati tratti brani che impreziosiscono la colonna sonora del film). Waits ci appare come è veramente, con il suo cappello, le sue "alligator's shoes", ripreso proprio nelle sue tipiche movenze dondolanti (quello che lui stesso definisce il buffo passatempo del "rockin' chair"). Come non riconoscere nel carattere scontroso e burbero di Jack la malcelata timidezza del vero John Lurie; come pure, non vedere in Roberto il primo geniale Benigni, strampalato ragazzotto della periferia fiorentina, con quella sua comicità astratta e concreta al contempo, sempre al confine fra il serio e il clownesco. Ciò che Jarmusch ci racconta in "Down by law", con bruciante realismo, non è altro che il fallimento del "sogno americano". Il regista fa dunque esplicito riferimento al tema prediletto da molti autori fra i quali, neanche a dirlo Tom Waits, o altri registi come Robert Altman che nel 1991 con il film Short Cuts (in italiano "America oggi") torna sul tema, affidandosi alla faccia di Tom Waits per rappresentare una certa tipologia di personaggi appartenenti alla "wrong side" (parte sbagliata). Anche altri registi "importanti" hanno rappresentato il fallimento della "via Americana": mi riferisco a registi del calibro di Francis Ford Coppola, Michael Cimino o Oliver Stone che hanno ampiamente attinto (a mio avviso fin troppo) dal filone degli war-action movies ben noto a tutti, che ha voluto rappresentare il fallimento americano come parafrasi del fallimento nella guerra del Vietnam.
Ma il cinema di Jarmusch è molto più vicino a quello di Altman, volendo fare un parallelo, ovvero tutto costruito su una poesia minimalista, assai lontana dalle sarabande di scoppi e di effetti speciali a cui tanto siamo abituati, e attorno ai quali è stato costruito un certo filone di film. Certo anche quei film, come "Down by Law", erano coraggiosamente tutt'altro che "politically correct", ma, Jarmusch non vuole costruire un film speculando sulla spettacolarità, a tratti a mio avviso anche Grand-Guignolesca, della guerra, del campo di battaglia, degli ammazzamenti: tutt'altro. In "Down by Law" veniamo direttamente catapulati in modo originale, perché così diretto e minimale, dalla giungla vietnamita, alla giungla d'asfalto della metropoli. Qui non ci sono eroi armati di fucili e di bombe, che si trovano a fronteggiare terribili "Vietcong" (leggi "cattivoni di turno"): ci sono soltanto dei poveri diavoli (anti-eroi), alle prese con i problemi dello squallore quotidiano in cui il destino li ha condannati a vivere o meglio a sopravvivere. Anziché riempirci di fotogrammi con un inarrestabile flusso di scene di combattimenti, la poesia filmica di "Down by Law" è tutta giocata su tempi molto dilatati che creano spazi, necessari ad assaporare a pieno quelle scene scarne, appunto minimali, quei dialoghi apparentemente senza senso eppure così reali, così concreti, proprio nel loro essere spesso fini a se stessi.
La scelta tecnica del bianco e nero ci restituisce tutta la voglia di Jarmusch di non perdersi in fronzoli, di rendere la rappresentazione ancor più cruda, scarnificata e il più possibile vicina all'osso, cioè a quella rappresentazione dell' "altra faccia" dell'America: quella che è così cara (guarda caso) a Tom Waits, ovvero l'America dei disadattati, dei barboni, delle puttane, degli emarginati in genere. Tanto importante è il minimalismo dei dialoghi quanto lo è quello delle musiche di Waits e di Lourie, sulla maestria dei quali non voglio dilungarmi qui perché mi occorrerebbe troppo spazio. Del resto se "Down by Law" doveva avere delle musiche non potevano che essere quelle scritte da Tom Waits e da John Lurie. Eppure questi tre personaggi, che ci appaiono come figure così singolari e lontane dal concetto di "eroe", tipico di un cinema tardo romantico o neo-romantico, hanno una forza emblematica tale da divenire invece così vicine all'idea dell'eroe, e ad un'immagine di eroe ancor più possente, proprio in quanto così esplicitamente vero, non soltanto come paradigma dell' "altra faccia" dell'America, ma anche di certe tipicità che Jarmusch scolpisce in modo sublime rappresentando il differente "approccio alla vita" mostrato dai personaggi di Jack e Zack, da un lato, e di Roberto, dall'altro (da notare la scelta dell'assonanza/intercambiabilità dei nomi Jack/Zack).
Durante tutto il film si apprezza distintamente tale differenza di "approccio alla vita": Roberto rappresenta l'eterno ingenuone, il puro dal cuore grande, che porta con sé una grande forza positiva, che si dona senza condizioni, senza riserve, sempre pronto ad accettare in toto le decisioni dei suoi compagni di sventura, compagni che lui crede davvero essere suoi "amici" (come non soffermarsi ad assaporare la splendida maccaronica interpretazione di Benigni quando ad esempio urla: "Jack, Zack, my friends").
In contrapposizione alla positività così intensa di Roberto, vi è la profonda disillusione e il cinico disincanto di Jack e Zack così desiderosi, al termine di quella strana e sgangherata avventura, di tornare alle loro vite, pur se consci di dover pagare il caro prezzo di reintegrarsi nei meccanismi perversi della metropoli. Tre personaggi anti-eroi, eppure eroi, ciascuno a modo proprio, che vengono scolpiti gradualmente durante il film, e che poi prendono forma compiuta e definita sulla parte finale sublime e bilanciatissima fra il lirismo della figura di Roberto, che si eleva in mezzo a tutto quello squallore, ritrovando la forza di ricominciare, innamorandosi perdutamente di una sua connazionale emigrata, incontrata per caso in una baracca tra le paludi di New Orleans (poesia allo stato puro) e il cinismo di Jack e Zack.
Un finale aperto e denso di significati, in cui Zack e Jack probabilmente appaiono come sconfitti, ma solo apparentemente, poiché anch'essi come Roberto, seppure in altro modo, hanno comunque scelto una loro via: ed è proprio questa l'essenza della libertà. Il film si conclude proprio con l'immagine del bivio che separa i due percorsi di Jack e Zack, come a dare quello che mi sembra il messaggio ultimo del film, ovvero: niente è perduto fintanto che ci sarà la possibilità di scegliere da quale parte del bivio andare, tutti noi, come Zack e Jack, potremo ancora dirci liberi. E ancora oggi, il messaggio è attualissimo, continuando a conservare tutta la sua valenza. In un momento storico in cui la morale e la politica imperante sembra essere sostanzialmente riassumibile in uno slogan del tipo "una terza via non esiste: esiste solo quella americana", mi piacerebbe che un po' tutti potessimo riflettere con attenzione sui fotogrammi conclusivi di "Down by Law", ovvero le inquadrature su quel bivio.
Concludendo: alcuni film sono importanti per il loro messaggio, altri hanno valenza come opera cinematografica in se stessa, altri ancora perché ci forniscono una visione del regista o una sua particolare rappresentazione/interpretazione che ci arricchisce mostrandoci aspetti a volte dimenticati, a volte del tutto celati alla nostra vista, come nel caso di "Down by Law": Jarmusch, disegnando i suoi tre personaggi, ci ha regalato un film a cui, a mio modo di vedere, non si può togliere né si può aggiungere nulla: semplicemente perfetto.
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