Jim Mickle. Segnatevi questo nome.
Negli ultimi anni accade questo: se un film di genere è valido, allora non se lo fila nessuno. Nessun grande nome del cinema ne parla (no, Spielberg e "Paranormal Activity" non ci dicono nulla...), nessun grande "attore", budget risicato. Se hai fortuna il nome del film può circolare tra gli amanti del genere, generare un salvifico passaparola in modo tale da portare una pellicola altrimenti destinata all'oblio più totale, quantomeno nel circuito home video. "We Are What We Are" non è ancora nella fase passaparola e nulla ci dice che riuscirà ad avere fortuna. Ma già il fatto che sia stato distribuito tramite dvd anche in Italia è un buon punto di partenza.
Il semisconosciuto Jim Mickle (di cui però si parla molto bene negli USA), giunto al suo terzo lungometraggio, deve vedersela con un remake di un horror messicano altrettanto sconosciuto del 2010. Inizialmente rifiuta, consapevole dell'assoluta nullità dei remake dati alla luce sul suolo americano negli ultimi anni. In seguito accetta e il risultato finale è una delle cose più intriganti dell'orrore statunitense da alcuni anni a questa parte.
Dio ha scelto la famiglia Parker per compiere questo rito. Sono secoli che tutto questo va avanti e non può cambiare, perchè così è, così è stato scelto. Siamo quello che siamo e nulla può cambiare lo stato delle cose. La famiglia Parker è composta da fottuti cannibali. Ok, messa così potrebbe effettivamente sembrare il solito banale horror sul cannibalismo. Niente di più errato: WAWWA trae tutta la sua forza dal non mostrare nessun tipo di scena gore per 3/4 della sua durata. Non ne ha bisogno perchè Mickle costruisce la tensione attraverso il montaggio e una regia fluida, secca e pulita, senza doversi abbandonare a piani sequenza estenuanti, carrellate, dolly e altri tecnicismi. Prevalgono primi piani e campi medi e un'ambientazione uggiosa, perennemente "malata", quasi post apocalittica. Un clima complessivo che si incastona a meraviglia in quello che per un'ora è una sorta di noir sospeso nel tempo e in cui Mickle dimostra di aver ben appreso lo stile compassato di parte del cinema europeo di genere. E' una pellicola che funziona proprio perchè lontana dagli stereotipi che hanno inflazionato (e deflagrato) l'horror americano: niente camera a mano, nessuna necessità di accellerare il ritmo, niente sangue sparso qua e là per dare una parvenza di brutalità a un'opera che non ne ha bisogno. Poi ci sarebbe da discutere della riflessione sull'impossibilità di alterare il proprio destino nella povera America incuneata nella miseria, nelle montagne, nel fango. Ma è un film di cannibali, cosa ce ne importa dei suoi risvolti sociali?
Oh, non è che improvvisamente Mickle sia diventato il nuovo Tobe Hooper, però un horror così ben congegnato in America non lo vedevano da anni. E infatti continuerà a rimanere negli anfratti perchè non lo ha visto nessuno e ha incassato quanto riesce a racimolare uno spacciatore nella periferia romana in una nottata d'estate. Sia chiaro, il film del nostro zio Jim non è perfetto e il modo sbrigativo con cui il medico del paesino svela l'arcano è un discreto buchino di sceneggiatura. Ma non ce ne importa nulla, perchè Mickle ha ancora la magia in serbo per noi. Cosa può andare storto e rovinare un film che ha funzionato quasi per intero? Il finale... Invece, Mickle riesce a confezionare un epilogo che è finalmente gore, necessario, duro, lacerante...si, soprattutto lacerante.
Il voto sarebbe un 3 e mezzo, ma sono un cannibale anch'io da anni e quindi gli schiaffo 4.
Negli ultimi anni accade questo: se un film di genere è valido, allora non se lo fila nessuno. Nessun grande nome del cinema ne parla (no, Spielberg e "Paranormal Activity" non ci dicono nulla...), nessun grande "attore", budget risicato. Se hai fortuna il nome del film può circolare tra gli amanti del genere, generare un salvifico passaparola in modo tale da portare una pellicola altrimenti destinata all'oblio più totale, quantomeno nel circuito home video. "We Are What We Are" non è ancora nella fase passaparola e nulla ci dice che riuscirà ad avere fortuna. Ma già il fatto che sia stato distribuito tramite dvd anche in Italia è un buon punto di partenza.
Il semisconosciuto Jim Mickle (di cui però si parla molto bene negli USA), giunto al suo terzo lungometraggio, deve vedersela con un remake di un horror messicano altrettanto sconosciuto del 2010. Inizialmente rifiuta, consapevole dell'assoluta nullità dei remake dati alla luce sul suolo americano negli ultimi anni. In seguito accetta e il risultato finale è una delle cose più intriganti dell'orrore statunitense da alcuni anni a questa parte.
Dio ha scelto la famiglia Parker per compiere questo rito. Sono secoli che tutto questo va avanti e non può cambiare, perchè così è, così è stato scelto. Siamo quello che siamo e nulla può cambiare lo stato delle cose. La famiglia Parker è composta da fottuti cannibali. Ok, messa così potrebbe effettivamente sembrare il solito banale horror sul cannibalismo. Niente di più errato: WAWWA trae tutta la sua forza dal non mostrare nessun tipo di scena gore per 3/4 della sua durata. Non ne ha bisogno perchè Mickle costruisce la tensione attraverso il montaggio e una regia fluida, secca e pulita, senza doversi abbandonare a piani sequenza estenuanti, carrellate, dolly e altri tecnicismi. Prevalgono primi piani e campi medi e un'ambientazione uggiosa, perennemente "malata", quasi post apocalittica. Un clima complessivo che si incastona a meraviglia in quello che per un'ora è una sorta di noir sospeso nel tempo e in cui Mickle dimostra di aver ben appreso lo stile compassato di parte del cinema europeo di genere. E' una pellicola che funziona proprio perchè lontana dagli stereotipi che hanno inflazionato (e deflagrato) l'horror americano: niente camera a mano, nessuna necessità di accellerare il ritmo, niente sangue sparso qua e là per dare una parvenza di brutalità a un'opera che non ne ha bisogno. Poi ci sarebbe da discutere della riflessione sull'impossibilità di alterare il proprio destino nella povera America incuneata nella miseria, nelle montagne, nel fango. Ma è un film di cannibali, cosa ce ne importa dei suoi risvolti sociali?
Oh, non è che improvvisamente Mickle sia diventato il nuovo Tobe Hooper, però un horror così ben congegnato in America non lo vedevano da anni. E infatti continuerà a rimanere negli anfratti perchè non lo ha visto nessuno e ha incassato quanto riesce a racimolare uno spacciatore nella periferia romana in una nottata d'estate. Sia chiaro, il film del nostro zio Jim non è perfetto e il modo sbrigativo con cui il medico del paesino svela l'arcano è un discreto buchino di sceneggiatura. Ma non ce ne importa nulla, perchè Mickle ha ancora la magia in serbo per noi. Cosa può andare storto e rovinare un film che ha funzionato quasi per intero? Il finale... Invece, Mickle riesce a confezionare un epilogo che è finalmente gore, necessario, duro, lacerante...si, soprattutto lacerante.
Il voto sarebbe un 3 e mezzo, ma sono un cannibale anch'io da anni e quindi gli schiaffo 4.
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