Quando si parla di Harry Potter si rischia sempre di arrivare a quel tipo di situazioni paradossali, tanto care a Debaser, in cui valutazioni, opinioni e scambi di idee finiscono presto in diatribe colossali e talmente ridicole da poter esser degne di un articolo di nonciclopedia.

Ma visto che sono il recensore e in questo caso il primo passo lo devo far proprio io, butterò il sasso nello stagno con un'affermazione abbastanza schierata, e cioè che chiunque non abbia apprezzato, o peggio, odiato profondamente la saga di J.K. Rowling è un idiota immane. Con un'unica scusante, ossia l'esser nati in una generazione che non è potuta crescere assieme a questo gigantesco fenomeno culturale, come di fatto lo è stata la mia.

Nato allo scoccare del 1990, cresciuto a metà tra il vecchio e il nuovo millennio, a guardar crescere le nuove generazioni di oggi il paragone con il ragazzino che ero una volta è quasi sempre spontaneo, assieme a migliaia di domande: cos'è che differenzia i bambini di oggi da quelli di ieri? Di che cosa sono fatte le loro paure, i loro sogni, i loro percorsi verso la crescita? Cos'è che insegna loro a sognare, a divertirsi, a vivere?

Nella generazione del progresso abbiamo imparato che le nostre madri non avevano più tempo per raccontarci favole prima di andare a dormire, che i nostri padri erano poco più che fantasmi perché per sopravvivere erano necessari lavori sempre più alienanti e faticosi, mentre le generazioni passate rimanevano sempre più indietro rispetto al progresso che imponeva uno stile di vita sempre più veloce. Non si raccontavano più storie intorno al fuoco, la televisione era ciò che ci faceva compagnia durante pranzi e cene. Non si giocava più all'aria aperta da quando bastavano poche lire per comprarsi una console e sparire dal mondo reale. Ci si trovava insieme sempre più raramente, con sempre meno cose da condividere e sempre meno modi per farlo. Il vuoto di un'infame età di passaggio che pochi saprebbero colmare.

C'è riuscita una madre sola proveniente da Edimburgo, che in una corsa in treno si inventò una storia capace di catalizzare assieme un'intera generazione. Mi ricordo ancora quando mi regalarono il mio primo volume della saga: sbagliarono totalmente e cominciai dal terzo libro "Harry Potter e Il prigioniero di Azkaban" ma fu comunque amore a prima vista, e non passò molto tempo prima di divorare letteralmente il primo e secondo volume in attesa di sapere come la storia sarebbe andata avanti. E d'un tratto, un timido ragazzino delle elementari aveva qualcosa da condividere con centinaia di suoi coetanei e magari allo stesso tempo aveva scoperto la passione per la lettura, e allo stesso modo che durante la giornata era possibile fare dell'altro, oltre a mangiare schifezze e guardare la televisione. Ci si scannava per declarare quale fosse il personaggio migliore o il cattivo più carismatico e si organizzavano vere e proprie adunate per celebrare l'uscita delle prime trasposizioni cinematografiche, mentre nel frattempo si facevano nuove amicizie, nuove scoperte, nuove esperienze. Tutto nel modo più sano e semplice possibile, attraverso la condivisione di ciò che in fondo apparteneva a tutti.

Quando lessi "Harry Potter e Il principe Mezzosangue" molto probabilmente tutta questa euforia era arrivata all'apice: mi arrivò per posta per il mio sedicesimo compleanno e rappresentava la storia perfetta per chi si accingeva a lasciare "L'età dell'innocenza" per entrare nel mostruoso mondo della maturità. Il più oscuro, il più violento, il più scorrevole ma anche il più denso di contenuti e di suspance, con un finale che lascia letteralmente senza fiato, anche superiore a quello del seppur buono quinto capitolo; un libro lontano anni luce dalla pacatezza (alcuni direbbero ingenuità) dei primi libri e con uno stile narrativo finalmente maturo e comunicativo, assolutamente non comparabile con ciò che rappresenta la sua ridicola versione cinematografica. Il settimo e ultimo capitolo, lo scialbo "Harry Potter e I Doni Della Morte", scritto frettolosamente e tradotto ancora peggio, non riuscì a reggere il confronto col suo predecessore e quando finalmente la storia arrivò a compimento, la magia forse era passata. C'è chi pensa che addirittura il settimo libro fu scritto assieme al primo capitolo, e quindi, ancora acerbo dal punto di vista stilistico. Può darsi. Fatto sta che "The Half Blood Prince" rappresenta una vera bomba per chi ama la letteratura fantasy e non ha paura di guardarsi allo specchio e di sentirsi magari un po' ragazzino. E in tempi come questi, dove vedi bambine di 12 anni che girano per strada conciate come prostitute (e che magari conoscono a memoria "Twilight"...), ditemi se non ce ne sarebbe un po' bisogno!

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