Io amo Joan Baez, tantissimo, e penso che la sua figura non sia mai stata approfondita ed esaminata a tuttotondo come meriterebbe: parlando di questa straordinaria artista spesso ci si ferma a pochi ed essenziali tratti ormai decisamente stereotipati. Quanti bellissimi dischi, quante sfumature, quante sensazioni differenti mi ha saputo regalare questa donna meravigliosa: il fascino dolente ed austero di "Vol. 2", il folk d'autore di "Farewell, Angelina", la semplicità agreste di "One Day At A Time", l'orgoglio e la speranza di "Gracias A La Vida", la vivida brillantezza di "Diamonds And Rust", il lussureggiante riflusso di immagini e sensazioni di "Gulf Winds", il capolavoro incompiuto "Blowin' Away" e l'ultimo, pregiatissimo colpo di coda, "Gone From Danger"; tuttavia nella sua vastissima discografia c'è un episodio che emerge e si contraddistingue ulteriormente; 1971, il commiato di Joan Baez alla storica Vanguard Records, l'etichetta che aveva lanciato in orbita la sua stella.
"Blessed Are..." è uno straripante doppio album, probabilmente il progetto più ambizioso di tutta la sua carriera, che rappresenta il definitivo coronamento di un periodo di grandi cambiamenti per la cantante latino-americana. Un po' di storia: archiviato definitivamente il periodo da folksinger pura con il tuttosommato deludente tributo a Bob Dylan "Any Day Now" del 1968 Joanie cambia completamente direzione, si da al country e, dopo un "David's Album" scolastico ed assolutamente trascurabile centra il bersaglio con l'eccellente "One Day At A Time", in cui per la prima volta si propone come autrice con le bellissime "Sweet Sir Galahad" e "David's Song". "Blessed Are..." si presenta quindi come un album quasi enciclopedico, un sunto di quello che Joan Baez era stata fino ad allora: il country, il folk, il rock, il pop e il gospel si incontrano e si susseguono armonicamente, la Joan Baez interprete prende per mano e cammina a fianco della Joan Baez songwriter.
Tra le innumerevoli interpretazioni di cui è infarcito l'album spiccano una corale e trascinante "The Night They Drove Old Dixie Down", destinata a diventare un punto fermo del repertorio di Joan Baez, assiduamente riproposta in concerto e un tributo ai Rolling Stones con la frizzante "The Salt Of The Earth", che calza a pennello con Joanie sia musicalmente che sotto il profilo testuale. Non bisogna però dimenticare che "Blessed Are..." è stato registrato a Nashville, e quindi il country domina la scena per buona parte dell'album, da un grande classico come "Help Me Make It Through The Night" di Kris Kristofferson alla leggera e festaiola "The Brand New Tennessee Waltz", virando verso sfumature gospel con "Heaven Help Us All" e la divertente "Put Your Hand In The Hand". Tra le interpretazioni migliori e maggiormente degne di nota si segnalano un'amara "Lincoln Freed Me Today", che ritrae il triste disincanto di un vecchio ex-schiavo dopo una liberazione solo apparente e "Deportee" di Woody Guthrie, vibrante canzone di denuncia con cui Joanie canta ancora una volta del razzismo e delle falsità di quella grande nazione chiamata stati uniti d'america, e su un piano più intimo e personale la dolcissima folk-ballad "Angeline" di Mickey Newbury ed un meraviglioso e passionale bolero come "Maria Dolores".
Dopo l'assaggio del precedente album, in "Blessed Are..." si può per la prima volta valutare con precisione la Joan Baez cantautrice che, come ho già detto tempo addietro, per me è la Joaz Baez migliore, la più importante, quella a cui mi sento più legato e vicino, e le composizioni inedite sono strettamente legate alla dimensione più folk di "Blessed Are...", Joanie esprime il suo estro accompagnandosi con la chitarra acustica, e colpisce sempre nel segno con ballate dolci e riflessive, caratterizzate da sonorità molto "acqua e sapone" ma raffinate ed arrangiate con gran gusto, come ad esempio la fluida, vellutata e consolatoria titletrack, in cui ad essere glorificati sono gli sconfitti, gli umili, gli emarginati, oppure il country agrodolce ed ombreggiato di "Outside The Nashville City Limits", l'incantevole neoclassicismo di "Milanese Waltz/Marie Flore", in cui viene rievocata una fugace amicizia d'infanzia ritrovata e soprattutto canzoni velate di malinconia e gentilezza, penso alla breve e struggente serenata di "When Time Is Stolen" ed alla sognante "Gabriel And Me", canzoni in cui è possibile ascoltare la voce di Joan Baez in tutto il suo incanto, che si esprime sulle sue bellissime melodie, amplificando ulteriormente il suo fascino.
Oltre alla dolcezza però ci sono anche delle ombre più cupe in "Blessed Are...", ombre che ispirano a Joanie due dei pezzi più pregiati del suo repertorio di songwriter, "Last, Lonely And Wretched" è una ballata scarna ed essenziale: solo chitarra e voce, come agli esordi, ed è una canzone da nodo alla gola, struggente, di una tristezza che quasi ispira al pianto ed infine la meravigliosa "Three Horses", musicalmente simile alla precedente ma più dilatata, straniante ed onirica, nobilitata ad un testo visionario di pura poesia, che si dipana in tre strofe dedicate rispettivamente al passato, al presente ed al futuro, parole cariche di allegorie e riflessioni, le migliori mai scritte da Joan Baez. Con tali capolavori nella sua tracklist "Blessed Are..." è un prodotto di qualità altissima, che pur essendo un doppio presenta veramente pochissimi riempitivi e punti deboli; la Joan Baez interprete è come sempre ottima, da quattro selle piene, la cantautrice è semplicemente meravigliosa, canzoni di una bellezza e di una semplicità disarmante, emozioni, sospiri e riflessioni, ed è quindi giusto e sacrosanto premiare un album così importante con il massimo dei voti, Joan Baez non ha mai volato così in alto, neanche in "Gulf Winds" e "Blowin' Away" che personalmente adoro, neanche nel bestseller "Diamonds And Rust".
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