Joan Baez: la storia ci ha insegnato a conoscerla come icona di pacifismo e impegno sociale, come "prima donna" del folk e come interprete eccelsa: da "Barbara Allen" a "Blowin' In The Wind" tantissime canzoni indimenticabili, di grandi nomi della musica così come perle della tradizione popolare sono state valorizzate dalle magiche corde vocali dall'usignolo di Woodstock, ma Joan Baez non è solo un satellite che splende della luce riflessa del genio altrui: "Sweet Sir Galahad" era stata la prima scintilla, poi l'instant classic "Diamonds And Rust" e finalmente, nel 1976, il primo album composto interamente da inediti, solo ed esclusivamente a firma Joan Baez: non è uno dei suoi album più conosciuti né tantomeno tra i più celebrati, "Gulf Winds" del 1976, a sedici anni dall'esordio discografico.

È curioso che il primo album della cantautrice Joan Baez abbia (all'apparenza) ben poco a che vedere con quello che Joan Baez rappresenta nell'immaginario collettivo: l'allora trentacinquenne artista si concede il vezzo di una copertina "glamour" in cui, a suo modo elegante in una mise rosa confetto,  posa sorridente ed abbronzatissima in un paesaggio tropicale da cartolina. Piccolo e squisito stratagemma per disorientare l'ascoltatore. Gli anni della relazione con Bob Dylan e di Woodstock sono passati da un bel pezzo, e anche musicalmente "Gulf Winds" è un album al passo coi tempi: elettrico, colorato e vivace, dal sound molto personale contiene effettivamente alcune atmosfere esotiche, ad un livello molto più profondo di quanto la copertina potrebbe far intendere, sempre con un occhio di riguardo per le origini folk. Prodotto e confezionato alla perfezione, il contenuto musicale non è assolutamente da meno; nessuna caduta di stile, nessun passaggio a vuoto, solo tanta ispirazione nelle nove canzoni di questo album: per alcune di queste si può parlare senza remore di capolavori: "Seabirds", una inquieta tarantella dal retrogusto vagamente crepuscolare, arricchita da arrangiamenti al limite della perfezione e da un testo enigmatico e quasi schizofrenico nel suo sovrapporsi di immagini e riflessioni personali, assolutamente in linea con l'andamento sincopato e mercuriale del brano. "Caruso" e "Kingdom Of Childhood", al contrario, trovano la loro forza nella cristallina semplicità della melodie, distese, quasi maestose ed epiche, riescono a creare un sound estremamente brillante e senza tempo con il loro solido folk rock in cui la voce a la chitarra acustica di Joan Baez reggono la scena alla perfezione, sostenute da magistrali interventi di piano, sintetizzatori e chitarre elettriche. Non mancano suggestive ballate come i dolcissimi walzer di "Still Waters At Night" e "Time Is Passing Us By" e le tormentate piano-ballad "Sweeter For Me" e "Stephanie's Room", in cui aleggia, specialmente nella seconda, il medesimo fantasma di "Diamonds And Rust"; un fantasma con un preciso nome e cognome, che riecheggia anche nella vivace ed orecchiabile "O Brother!", risposta ad una certa "Oh Sister" con cui musicalmente però ha poco da spartire; episodio gradevole ma forse il più debole dell'album, che si chiude con "Gulf Winds": più di dieci minuti di durata in cui Joan rivive la sua infanzia; niente effetti speciali, solo una chitarra acustica e quel vibrato intenso ed inconfondibile, che dà vita ad una narrazione serena ed evocativa, ogni due strofe il ritornello, sempre uguale, quasi un mantra liberatorio, disegnando per cinque volte un cerchio perfetto.

"Gulf Winds" rimane fino ad oggi l'unico album interamente "cantautorale" di Joan Baez, e il successo che riscosse all'epoca fu alquanto modesto, eppure si tratta di una gemma preziosa sotto tutti i gli aspetti: la voce già la si conosceva, il talento come musicista era già emerso in precedenza, la vera grande sorpresa, per un'artista conosciuta principalmente come interprete sono i testi, stupendi in tutti gli episodi dell'album; come lei stessa disse a proposito di quest'album: "Sometimes, I wake up at night and write a song. Sometimes a tune comes to my head when I'm walking in the hills, and I have to make up words for it. Sometimes I sit in a bar in San Francisco and scribble into a notepad what I call my stream of unconsciousness. When I have enough scribbles in the pad, and enough tunes in my head, I go into the studio and make an album. That's how I made this one." Questa, in estrema sintesi, è la Joan Baez di "Gulf Winds".

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