Maggio 2004. Cammino per una città che non conosco, una città andalusa che si chiama Málaga. Ci sono arrivato con un viaggio in aereo troppo lungo, fra facce sconosciute di affaristi in classe business e i sorrisi forzati di una hostess che ha fatto della gentilezza il suo mestiere. "Siamo sopra Barcellona", dice una voce dall'altoparlante. Guardo giù e vedo solo nubi. Non posso ascoltare musica, ma è come se lo facessi.

Ho questo album di João Gilberto Prado Pereira de Oliveira che mi gira per la testa. E la "cover" di "Málaga" che mi ossessiona, che mi gira nel cervello come in loop. Una vecchia canzone di Fred Bongusto. Che João Gilberto modella sulla sua voce, sulla sua chitarra, la sua meravigliosa "violão" che ha cambiato la storia della musica brasiliana. Un'esperienza estatica, ascoltare João e la sua voce "da raffreddore" snervare ogni canzone nell'appeal lento e malinconico della bossa nova. Un'"onda nuova" che ti sciaborda nel cuore e che ti lascia, racchiusa come in una conchiglia, tutta la sua poesia. Tutto il suo oceano di malinconia. "Il mio amore è nato a Málaga", ripete João in questo disco. Ci sono arrivato, finalmente, in questa Málaga. Fra il caos delle valigie, la scorgo. Eccola. La "morena boa que me faz penar", come canto João, la splendida mora che mi fa soffrire. Lei è qui per la sua tesi di laurea. Ma a me non importa nulla, del "perché" lei sia qui. Mi importa, e molto, che io sia qui con lei. E sento il cuore che mi danza in gola in quell'abbraccio, il cuore che danza felice come sulle note di un vecchissimo samba, "Isto Aqui o Que É?", con cui si inaugura questo splendido concerto. "In quella casa dal patio antico quante dolcezze ti ho sussurrato..." ripete João. E io adesso ho la "morena boa" qui al mio fianco, su questo lungomare di palme e di sabbia grigia in un maggio già infuocato d'"Estate". Quell'"Estate" di Bruno Martino che qui João reinventa completamente affrescandola sugli accordi della sua bossa nova: "Estate... Sei calda come il bacio che ho perduto. . . Sei piena di un amore che è passato...".

Troppa luce in questa Costa del Sol. Troppa, da ubriacarsi. E la sera si tinge di refrigerio con le stelle che si accendono e ardono senza mai consumarsi. La sera con le note di "Corcovado". La sera con le note di "Garota di Ipanema", e solo lei nel cuore e nelle labbra. Non c'è nulla in questo concerto, se non João Gilberto e la sua chitarra. E la magia che insieme sanno creare. In fondo João e la sua chitarra sono come un uomo e una donna. Non sono nulla, da soli. Ma possono anche essere tutto, con la scintilla dell'amore a cementarli. Con la scintilla della poesia. Che magari poi ritrovi nelle piccole cose, nella "saudade" di non essere a casa, nella tua timidezza d'anatroccolo che traballa sui propri fragili sentimenti: "O pato, vinha cantando alegramente quen quen...". "Chega de Saudade". Basta con questa snervante, tenera malinconia.

L'aereo parte. È già tutto ricordo. Cammino solo sulla strada. Piena di nada. Il concerto è finito, le luci si spengono. Ma la musica resta, come l'amore e il suo soffuso, eterno palpito. Sarò fuori moda, chissà. Sarò anch'io "desafinado". Ma "no peito dos desafinados tambem bate um coraçao". E João Gilberto, in questo concerto, questo cuore lo gonfia e lo riscalda. Da avere.

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