Trovarsi in una situazione difficile (a voler usare un eufemismo...) come può essere quella di venire ripetutamente colpiti da pietre, che con frequenza crescente ti vengono scagliate addosso e non si ha modo di sfuggire, poiché ovunque si vada le pietre non smettono di cadere, manco fossero grandine nel bel mezzo di un violentissimo temporale estivo, e ci si sente sfiniti oltre che perduti e ogni cosa, non solo materiale, giunge, inesorabilmente, al termine.
Questo è quello che si sperimenta ogni qual volta i Job For A Cowboy attaccano con i loro pezzi fatti apposta per generare devastazione e indurre saturazione sonora. C'è un solo elemento che, allo stato attuale delle cose, non torna ancora pienamente nel songwriting della formazione dell'Arizona, che con "Genesis" debutta sulla lunga distanza e che quindi avrà modo di correggere tale mancanza, il fatto che poi, durante lo svolgimento dei brani, il precipitare delle note non venga sempre portato alle estreme conseguenze. Volendo tornare al parallelismo iniziale si può dire che dopo un po' la grandinata si interrompe. Ma se, in una situazione musicale diversa, questo avrebbe potuto essere interpretato come un fattore positivo (nel senso che dopo averti ridotto in brandelli ti lasciano a morire dissanguato tra dolori inenarrabili...), loro si limitano a mollare la presa prima che la situazione degeneri e diventi definitiva, e ciò forse a causa della breve durata delle composizioni (l'album non va oltre la mezz'ora complessiva).
Certamente il vomitare metal estremo (spesso brutal death e grind, a volte crust-core) non fa, formalmente, una piega (le capacità tecnico/esecutive sono evidenti, senza trascurare che in studio hanno lavorato con l'ex Sabbat Andy Sneap), però devono ancora rendere il sound devastante in profondità, dal momento che - allo stato attuale delle cose - spesso si fermano poco sotto la superficie. Inoltre consiglierei di sviluppare maggiormente la vena ambient/industriale manifestata in "Upheaval" e "Blasphemy", che qui fungono solo da intermezzi, e che se venisse integrata nel tessuto connettivo delle tracce stesse potrebbe renderli ancora più maligni e interessanti (in parte già accade in "The Divine Falsehood"). Il giudizio è comunque positivo e le osservazioni non devono essere interpretate quali elementi a loro sfavore, ma come fattori di miglioria futura.
Chi ha il suono Relapse nelle vene apprezzerà sicuramente!
Carico i commenti... con calma