“E’ il più bell’album che io abbia mai fatto. Ispirato, profondo, organico e ruvido.”
Con queste parole JOE BONAMASSA (uno dei più grandi chitarristi contemporanei) descrive il suo nuovo lavoro "DUST BOWL".
Anche per questo album BONAMASSA ha collaborato con il produttore Kevin “Caveman” Shirley, già produttore di Aerosmith e Black Country Communion [Formazione nata nel 2010 che vanta tra i suoi componenti non solo Joe Bonamassa alla chitarra e alla seconda voce ma anche Glen Huges (ex Deep Purple) alla voce e al basso , il tutto condito da Jason Bonham (Led Zeppelin) e Derek Sherinian (Dream Theatre)].
Ebbene, che dire di questo disco? Beh sicuramente il nostro Joe ritorna al buon vecchio Blues, ruvido e malinconico ma lo fa con una vena diversa. Egli infatti spiega appena dopo l’uscita del suo ultimo album: ”Ho deciso di chiamarlo Dust Bowl perché vuole rappresentare il mio stato d’animo e la mia condizione d’essere in questi ultimi mesi; ho passato infatti l’ultimo anno a girare per il mondo a suonare. Non preoccupatevi tutto è andato per il meglio ma si sa! Quando sei in tour è un po’ come vivere in un nuvolone di sabbia, non sai mai come andrà a finire perché non vedi a un metro dal tuo naso a causa della continua frenesia!”.
Con questa dichiarazione nelle orecchie mi appresto a inserire il cd nel mio fedele stereo da camera e attendo la prima canzone come un bambino attende tutto eccitato l’inizio dei cartoni animati del pomeriggio.
Eccolo che parte! La prima traccia è intitolata Slow Train. Beh parte sicuramente in maniera cinematografica! La batteria imita (per l’appunto) il lento avanzare di una locomotiva stanca, appena ripartita per l’ennesima volta (come il nostro Joe, un treno stanco che si muove in direzione della prossima tappa del tour) ed esplode dopo 30 secondi nel più classico blues malinconico che però non ci mette molto a sfociare in un assolo tanto bello quanto lungo.
La seconda traccia è quella che da il nome all’intero album: Dust Bowl. A mio modo di vedere è un classico esempio di Blues contemporaneo, struggente quanto basta per farti chinare la testa a terra nei giorni bui ma che comunque riesce sempre a esplodere in un riff o una strofa particolarmente energici. Da come inizia questa canzone sembra quasi che il buon Joe si sia votato a un genere più psichedelico (anche a causa della recente collaborazione con il sig. Hughes, “reo” di aver inserito nell album dei Black Country Communion canzoni semi-psichedeliche come “Medusa” e che inevitabilmente hanno dunque influenzato il chitarrista). Il minuto 2:28 di questa canzone fa capire che il vecchio Joe non è cambiato affatto! Un assolo incredibile, che ti prende per mano e ti fa turbinare insieme a lui nella tempesta di sabbia fino a lasciarti stordito sul letto.
La terza traccia è Tennessee Platesa simpatica quanto improbabile cavalcata Country Blues cantata non solo da Joe (che qui interpreta il ruolo di seconda voce) ma anche da Jhon Hiatt (cantautore, pianista e chitarrista statunitense.) Questa canzone però risulta un ottimo elemento di stacco dopo due canzoni abbastanza impegnative come le prime due tracce.
La quarta canzone è la mia preferita dell’album; si intitola The Meaning Of The Blues. Anche questa parte in maniera molto strana, ricordando quasi le parti più psichedeliche dell'album Black Country Communion. The Meaning Of The Blues non va studiata, non va analizzata ne smembrata nelle sue parti piu piccole per capirla. E’ la classica canzone blues! O la capisci o non la capisci, non c’è verso. E’ la classica song che non si descrive a parole, ne verrebbe fuori un sunto troppo corto e di spregievole fattura in confronto alle emozioni che questa traccia può regalarti. Fate una cosa: prendete un bicchiere di vino, un sigaro e mettete su questo disco; dirigetevi immediatamente alla traccia 4 e fatevi investire dalla magia del Blues.
La 5 traccia si intitola Black Lung Heartache e, secondo me, può rientrare tranquillamente nel discorso fatto per Tennessee Plates. E’ molto bello artisticamente parlando comunque che Bonamassa provi a girare anche su altri generi vicini al blues, cercando di non fossilizzarsi troppo sul Blues.
La traccia numero 6 si intitola “You Better Watch Yourself”, classica canzone blues propriamente detto. Questa canzone inizia con la chitarra di Joe che sembra lamentarsi, non so per cosa, so solo che riesce a sfogarsi immediatamente, insieme al più classico dei giri di basso e alla voce calda e inimitabile di Smockin’ Joe. In questa canzone si fa spazio l’idea che Joe non è semplicemente un chitarrista Blues, sarebbe riduttivo definirlo in questo modo, Joe reincarna il classico chitarrista a 360 gradi, quasi come era Gary Moore per intenderci; affiancato al giro di basso più semplice e scontato del mondo vi è infatti una chitarra (quella di Joe) difficilissima da carpire e da riprodurre.
Ops penso di essermi dilungato un po’! cercherò allora di fare più in fretta per non annoiarvi troppo e lasciarvi il tempo di ascoltare questo magnifico cd.
Il cd comunque continua con The Last Matador Of The Bayonne, una canzone che incarna per una parte il buon vecchio blues ma per l’altra introduce l’ascoltatore a un Blues sicuramente più moderno, fatto di assoli più veloci e più tecnici (ma non alla Dream Theater sia ben chiaro xD) e arriva all’ultima traccia passando per Heartbreaker (canzone realizzata in collaborazione con Glen Huges; la cui unica pecca consta nel fatto che Joe abbia voluto cantare lo stesso, lasciando così meno spazio all’incredibile voce dell’ex Deep Purple) per No Love On The Street (canzone che si fa portatrice del pessimismo cosmico tipico del blues sia nelle note che nel testo). L’album infine si conclude con un trittico di canzoni molto eterogeneo partendo con The Whale That Shallowed Johan (Blues semi-moderno) passando per Sweet Rowena (Blues classicissimo) finendo il tutto con Prisoner (canzone profondissima, insita di una tristezza e una claustrofobia incredibili).
Beh che dire di questo cd? Mostra sicuramente come Joe in questo periodo sia particolarmente ispirato… LONG LIVE SMOCKIN’ JOE
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