Questo disco è un capolavoro! Non è solo un mio personale giudizio che può sembrare esagerato o superficiale ma ritengo sia un parere condiviso da tutti coloro che nel 1995 rimasero colpiti positivamente dall'ascolto di quest'opera. Eppure il texano Joe Ely, prima dell'album in questione, aveva già conquistato un posto onorevole nel variegato panorama musicale statunitense grazie a lavori riusciti come "Honky Tonk Masquerade", "Lord Of The Highway" e "Love And Danger".

Con "Letter To Laredo" però, compie il suo miracolo artistico. Pochi musicisti del periodo potevano vantare una capacità di scrittura lucida e superba come dimostra di possedere Joe Ely in questo album. Lasciati da parte riff elettrici e rock'n'roll primordiali, ben testimoniati nell'adrenalinico "Live At Liberty Lunch", "Letter To Laredo" si presenta come un maestoso affresco musicale curatissimo e prevalentemente acustico. Un'opera totale, completa, coinvolgente, ricchissima di contenuti dove le chitarre e le percussioni evocano l'Andalusia, i Paesi Arabi, Garcia Lorca, Buddy Hollly, terre promesse, sogni infranti e voglia di riscatto. Un notevole melting pot artistico e culturale collegato alle radici tradizionali della musica americana di cui Joe Ely è sempre stato un fedele interprete. "Letter To Laredo" è la vetta dell'ispirazione del suo onesto autore. Il punto d'arrivo delle sue esperienze musicali, delle sue passioni, dei suoi amori e delle sue speranze. Un disco che in fondo mantiene la stessa varietà di "Kiko" dei Los Lobos e le stesse coordinate di "The Ghost Of Tom Joad" di Bruce Springsteen ma che a livello musicale si apre spontaneamente e senza forzature a molte influenze. Influenze, non solo musicali, che diventano palesi non appena entra in gioco la magica chitarra flamenco di Teye, musicista di origine olandese che regala, con il suo tocco sullo strumento, sensazioni che ascolto dopo ascolto diventano quasi visibili. "Letter To Laredo" offre una serie di canzoni splendide e fiere. Joe non fa tutto da solo ma si avvale della presenza di una serie di ospiti graditissimi. Bruce Springsteen offre la sua inimitabile voce nell'iniziale "All Just To Get To You", un pezzo elettrico e vibrante e nella conclusiva e nostalgica "I'm Thousand Miles From Home", un brano che non avrebbe di certo sfigurato su "The Gost Of Tom Joad". Butch Hancock regala al vecchio amico la bella "She Finally Spoke Spanish To Me" mentre Jimmie Dale Gilmore duetta con Joe nella riflessiva "I Saw It In You".

Man mano che il disco procede, la scrittura di Ely rimane sempre lucidissima come dimostrano la scatenata "Run Preciosa", la sognante "Saint Valentine", la briosa "Ranches And Rivers", la rilassata "That Ain't Enough", la quasi dylaniana "I Ain't Been Here Long", con un grande David Grissom, e la notevolissima title-track che possiede, tra l'altro, un finale acustico travolgente. Tutte cartoline musicali che ci portano, grazie alle suggestioni create dalla chitarra di Teye e alla voce narrante di Joe, in luoghi lontani che abbiamo imparato a conoscere grazie a quei film ambientati sul confine messicano. Messico in cui si svolge la vicenda racchiusa nella splendida "Gallo Del Cielo", un pezzo in origine di Tom Russel che Joe personalizza come solo lui sa fare facendosi aiutare dal solito Teye. Il brano in questione, per il sottoscritto la punta di diamante dell'opera, sembra il copione di un film con tanto di finale amaro. Il duetto offerto nella canzone con il grande Raul Malo dei Mavericks e l'accompagnamento alla fisarmonica di Ponty Bone, regalano l'ennesima emozione impagabile ad un disco che a distanza di anni non ha perso nulla del suo enorme fascino. Ma questo accade solo ai dischi che sono destinati a restare per sempre. I capolavori. Categoria alla quale "Letter To Laredo" appartiene di diritto.

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