"Dai diamanti non nasce niente... dal letame nascono i fior...".
Il verso di Fabrizio De André, ormai indelebile come uno slogan, è anche una specie di teorema, e si può applicare anche alla musica. Se 2 + 2 fa 4, vuol dire che anche dal punk deve essere per forza derivato anche qualcosa di buono, naturalmente "dopo", non "mentre".

Joe Jackson non è il caso più illustre di musicista vero risorto dalle ceneri del movimento che voleva distruggere la musica, esaltando il marcio, la cacofonia e la distorsione. Però è senz'altro uno dei più emblematici, più che altro per come, animato da una specie di spinta repulsiva rispetto al suo passato, arrivò a toccare sponde diametralmente opposte, versanti che confinavano con il magico equilibrio del jazz.
Un casinista qualsiasi non avrebbe potuto neanche provarsi ad esplorare questi territori, ma Joe Jackson era un musicista, capitato nei fetidi sottoscala del punk per errore, e gli fu facile venirne fuori egregiamente a metà anni '80 con due album-capolavoro, che neanche a farlo apposta portano i titoli di due standards del jazz più classico: "Night And Day" e "Body And Soul".
Quest'ultimo è senz'altro il più vicino al jazz, e almeno in un caso la vicinanza diventa sconfinamento: è la stupenda ballad strumentale "Loisaida", con strumentazione da grande orchestra tipo Gil Evans, pianoforte ipnotico e sax da brivido che risuscitano grandi classici come "Round midnight" (e dico poco!).

Per la registrazione di questo disco Joe Jackson si avvale di una band che nei nomi (Vinnie Zummo, Tony Aiello, Michael Morreale) ricorda la banda di Al Capone, ma suona ottimamente, come del resto anche il fido bassista Graham Maby e lo stesso Joe al piano. Inoltre il luogo scelto per l'incisione (rivestito in legno) e le tecniche di registrazione (due soli microfoni tradizionali) rivelano una volontà quasi maniacale di ottenere un suono "vero", dove le voci degli strumenti restano quelle, cosa perfettamente comprensibile dopo le passate sbornie di suoni brutti e distorti.
L'obiettivo è centrato in pieno, e lo si sente particolarmente nelle batterie rimbombanti dell'epica e maestosa "The Verdict", nell'esplosivo finale di "Be My Number Two", fino ad allora dolce ballata per piano e voce, nell'irresistibile ritmo e nei fiati scoppiettanti, alla Earth Wind and Fire, di "You Can't Get What You Want". Sono quasi sempre brani di ottima fattura, con il valore aggiunto di questo "suono autentico" che si percepisce davvero, anche in CD. La vecchia passione per i ritmi latini rivive in "Cha Cha Loco", con il suo echeggiante "Baile!" che invita a non star fermi.
Il gusto per creazioni originali e raffinate è esaltato al massimo in "Heart Of Ice", che come l'arcinoto Bolero di Ravel parte da un sommesso ritmo di sottofondo per arrivare, in continuo crescendo, ad un finale trionfale (il tutto però, va detto, senza scopiazzare né il ritmo né la melodia raveliane).

Gran disco: peccato che pochi anni dopo Joe Jackson sia caduto vittima delle sue esagerate ambizioni, mettendosi a scrivere notturni simil-Chopin, quartetti per archi, e mi pare perfino una sinfonia. Bah.

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