1990. Los Angeles. I fratelli Coen sono alle prese con la trama di Crocevia della Morte ma si trovano in una drammatica fase di stallo. La pagina rimane completamente bianca per giorni e giorni, senza che i due riescano a farsi venire in mente un'idea per continuare la storia. Da qui la decisione di spostarsi a New York per staccare la spina, e nel giro di tre settimane, quasi come una catarsi, viene completata la stesura di un altro film, Barton Fink. Tornati a Los Angeles, completato e girato il film in sospeso i Coen iniziano a lavorare immediatamente sul nuovo copione, che vedrà la luce nel 1991.
La particolare genesi del film è strettamente collegata con il suo contenuto. Siamo nei primi anni '40, Barton Fink (John Turturro) è un giovane scrittore teatrale che parla dell'uomo comune e scrive per il popolo, la cui ultima opera ha ottenuto ottime recensioni. Si trasferisce da New York a Los Angeles per lavorare come sceneggiatore per l'industria cinematografica. Il primo lavoro che gli viene commissionato è un semplice B-movie sul wrestling, ma nella stanza d'albergo del fatiscente hotel dove alloggia Barton è bloccato e non riesce ad iniziare la trama. Le uniche persone che frequenta sono Audrey (Judy Davis), la segretaria-amante di uno scrittore molto amato da Barton ma ormai alcolista, e Charley (John Goodman), robusto e bonario venditore di polizze assicurative che abita nella camera accanto alla sua. Unica consolazione ed evasione mentale nella sua grigia vita l'immagine di una donna in spiaggia appesa di fronte alla sua scrivania. Mentre l'alienazione e la paranoia scavano l'animo dello scrittore una serie di eventi sempre più drammatici ed inquietanti si susseguono: il caldo scioglie letteralmente la colla della carta da parati, Audrey viene trovata misteriosamente morta dopo una notte d'amore con Barton e Charlie in realtà non è l'uomo del popolo per cui Barton scrive ma un pericoloso serial killer, Karl Mundt.
Nei film precedenti i Coen ci avevano abituato a trame strampalate, spesso molto grottesche, ma con questo film si passa ad un livello più alto: la trama non ha una vera e propria conclusione, molti avvenimenti non vengono spiegati (come la morte di Audrey), molti oggetti o ambienti sono del tutto simbolici, e la parte finale del film ha un tono surreale molto Lynchano (e non è un caso che la capigliatura di Barton ricordi Henry Spencer di Eraserhead). Con questo film i Coen ci propongono una riflessione sul processo di scrittura e sull'industria del cinema. Alla base c'è il tema autobiografico: non solo perchè Barton, come i Coen, vive un momento di blocco, ma anche perchè passa dall'arte "indipendente", frutto del suo genio, alle logiche e agli ingranaggi stritolanti delle grandi Major, di cui resta prigioniero. La satira dei fratelli si esplica nell'immagine del capo della Capitol Jack Lipnick, che si abbassa a baciare i piedi di Barton quando vede un profitto, anche se per un film scarso, ma che gli urla in faccia di essere solo un semplice imbrattacarte quando invece di un copione sul wrestling si vede davanti una trama capolavoro diversa da quanto sperato; altra figura satirica è W.P. Mayhew, scrittore-alcolista i cui ultimi lavori sono in realtà opera della segretaria.
In opposizione agli ambienti sfarzosi di Hollywood abbiamo il decadente hotel, che già dalle prime immagini viene mostrato come una sorta di Inferno: l'usciere Chet (altro piccolo cameo per Steve Buscemi) esce da una botola sul pavimento ed è vestito totalmente di rosso, per non parlare delle fiamme (simboliche perchè non bruciano e spaventano nessuno) che avvolgono il corridoio nel finale. L'ambiente è quasi una esteriorizzazione della personalità di Charlie/Karl "Testa Matta" Mundt, infetto come il suo orecchio (la scelta come colori predominanti del giallo e del verde non è casuale, ma da allo spettatore una sensazione tangibile di putrefazione), d'altro canto come nota Barton, si surriscalda sempre in sua presenza. E così se Barton è un Dio che crea capolavori, Charlie/Karl è il suo antagonista, con cui confrontarsi e grazie al quale poter scrivere il suo capolavoro. Nel confronto con Karl però Barton uscirà sconfitto, perchè la sua voglia di parlare della gente comune si scontra con la sua altezzosità:
"Io soffro del dolore degli altri, io li capisco, so cosa succede quando la mente va in fumo e scoppiano i casini, si passa l'inferno, io aiuto la gente ad uscirne. Tu non ascolti! Tu credi di conoscere il dolore, tu credi che ho trasformato la tua vita in un inferno, da un'occhiata a questa topaia, sei solo un turista con la macchina da scrivere, io qui ci vivo".
Ma gli ingranaggi di Hollywood hanno ormai schiacciato lo scrittore, che si ritroverà chiuso nelle sue fantasie, in un finale surreale che lascia davvero stupefatti.
Oltre alle strabilianti prestazioni dei due attori principali, sono da segnalare la regia, che come sempre alterna solidità, cura maniacale per i dettagli e riprese virtuosistiche. Nonostante il ritmo lento e la mancanza di avvenimenti fondamentali le due ore del film catturano lo spettatore, invischiandolo nella storia.
Nonostante la vittoria di 3 premi al Festival di Cannes (miglior film, miglior regia e miglior attore protagonista) i fan dei Coen sono abbastanza divisi sul valore del film, c'è chi lo considera il capolavoro dei due, chi lo bolla di eccessiva retorica ed intellettualismo manieristico. Personalmente lo ritengo oggettivamente un gran film, ma è uno di quelli che apprezzo meno dei due registi. Inoltre gli stessi fratelli hanno più volte lasciato intendere la volontà in futuro di girare un sequel ambientato negli anni '60; si sta solo aspettando che John Turturro invecchi al punto giusto.
VOTO = 7
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