“A testa bassa li ha seguiti Ricardo Reis, effetto di certo dalla vergogna di camminare così senza niente, mani in tasca”.
La frase continua, ma le lettere scompaiono: si insabbiano da qualche parte lassù tra cervelletto e fronte. Il capo, il mio, ondeggia mentre rilegge ancora una volta, l’ennesima. Il periodo rolla pericolosamente, come una nave in balia di un‘onda lunga; poi inciampa sulle coperte prima di schiantarsi infine sul pavimento duro rompendosi e sparpagliandosi come le tessere di un puzzle disordinato appena aperto. Sul legno: “Effetto-di-camminare-a-testa-niente-Ricardo-li-ha-in-tasca-mani,-Reis,-seguiti-vergogna…”.
La ricompongo a fatica la frase: un artigiano che cerca di riparare qualche arnese delicato e vado avanti per un po‘, ma ben presto mi rendo che sto scorrendo con lo sguardo parole che diventano insipide insultando e banalizzando la gran bella penna di Saramago. Meglio chiudere e passare ad altro oggi, mi dico posando il libro. Decisamente.
Il Texas. E’ un bel nome, non trovate? Corto, ma affilato con quel finale che incarna il sibilo di un serpente a sonagli. Ne è pieno, il Texas. Un posto pericoloso dunque, nel quale si regala alla propria moglie una pistola con l’impugnatura in madreperla: perle ai porci, per lei che non sa nemmeno come si usa. Quaggiù ognuno pensa solo a sé stesso. Già, non ci si può fidare di molte persone perché di spazio vuoto ce n‘è molto e la gente va in giro con una pala nel baule della macchina. Come a dire: non si sa mai.
Non fidatevi nemmeno di loro, dei i registi: sebbene siano al loro primo lungometraggio ci offrono 90 minuti pieni di spunti al fosforo e visivamente appaganti. L’unica cosa invecchiata male in “Blood Simple” è la moda dei pessimi vestiti ottantiani e dei capelli. Perché per il resto questo finto noir/thriller ha ben poco da invidiare a “Fargo”, attori compresi, tra i quali svetta un‘avvenente McDormand che fa le prove per la meritata statuetta del ‘96.
Sono piccole cose, ma rimangono impresse. A fuoco. Come quei tergicristalli iniziali, nel buio totale di una notte sinistra, che vanno perfettamente a tempo con la colonna sonora. Inquadrature lente e che si richiamano continuamente nel prosieguo del film. Ossessivamente lenti i movimenti delle telecamere come i dialoghi ed i movimenti quasi geriatrici degli attori. Zoomate sui particolari minuziosi di una fotografia vertiginosa. Colonna sonora essenziale, ma struggente, con pochi tasti d’avorio messi lì, proprio al punto giusto. Nei momenti di tensione invece sparisce in favore dei rumori esasperati e netti di uno stivale sul legno, di un frugare furtivo di una mano in una borsa, del tac di una goccia di sangue che cade e del macabro tintinnio, inquietante, di una pala che inesorabile si avvicina sbattendo lenta sull‘asfalto. Luce per raffigurare il bene e ombra per impersonare il male.
Queste minuscole cose messe insieme piacciono e rendono talmente appagante la vista del film che quasi non ci si rende conto che i due fratelli ci stanno prendendo per il culo con questa storia senza reali fondamenta.
La polizia non esiste, eppure si spara fragorosamente. Un assassino gira per casa e lei, la vittima, si rinchiude in bagno. Ma lo fa con calma. Prove d’accusa lampanti lasciate dovunque da presunti professionisti come infinite molliche di Pollicino. I piccioni potrebbero banchettare, seguendole, per settimane continuando a muovere quel cazzo di collo, grassi e contenti. Sono talmente bravi i Coen che quasi non li vediamo gli errori grossolani ed in sequenza dei quattro protagonisti che rendono sempre più assurdi e impossibili i ruoli stereotipati e palesemente falsi che interpretano con estrema bravura. Si muore per equivoci, per errore. Sangue fottutamente facile, con una grassa e amara risata come epilogo prima dei i titoli di coda.
Humor nero per un esordio di classe, ahimé poco conosciuto. E poi che locandina!
ilfreddo
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