Ed eccola l'attesa ultima prova dei fratelli Coen. Le aspettative parlavano di un viaggio attraverso la neonata scena folk - revival del Greenwich Village di New York, e io mi sono chiesto cosa ci potesse essere di così trascinante per un film di canzoni se vogliamo un pò pallose. Invece il film è incentrato si sulla figura di un cantante folk, Lleyn Davis (interpretato dal Oscar Isaacs), ma ne viene fuori un ritratto di uno splendido e rude perdente come nella più alta tradizione dei fratelli Coen. E, scomodando ancora questa "sacra" tradizione", anche qui si parla di un viaggio, di un percorso che porterà Davis a nulla se non a confrontarsi con le proprie miserie.

Anche la tanto citata ispirazione col cantante Dave Van Ronk o il duo Jim e Jean o il richiamo agli esordi di Peter, paul & Mary dimostrano che l'intento non è tanto un omaggio semi documentaristico a quella scena, quanto le peripezie di Davis, la sua ostinata scelta di portare le sue canzoni bocciata dal produttore Bud Grossman che sentenzierà come commercialmente fallimentari in un inutile e rocambolesco viaggio a Chicago; il suo non venire a compromessi con facili soluzioni artistiche e responsabilità della vita, una sorella bacchettona e un padre malato, fra presunte paternità e pochi amici che lo ospitano sul divano. Il viaggio, il senso di colpa, richiami ebraici che tornano nei loro film mescolati con le passioni di sempre (la musica ancora una volta magistralmente preparata da T Bone Burnett).

Non sarà la carambola tragicomica e trascinante di "Fratello Dove sei" col quale il film fa il paio per la passione dei Coen per la tradizione, ma il risultato rimane alto, seppur in un rigoroso chiaroscuro invernale newyorkese, avvolgente come un comodo plaid, magari con un gatto di nome Ulisse al nostro fianco in una bettola semiilluminata come il Gaslight Cafè. 

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